
“Le parole sono importanti”, urlava Nanni Moretti in Palombella rossa (pellicola del 1989). E anche quelle dei boss (dette nel corso dei processi): per contrastare le mafie, capire dove si dirigono, cercare di anticiparle, bisogna pesarle una ad una. E serve farlo tenendo in mente un concetto chiaro: “Le parole sono importanti”, appunto. Soprattutto per chi ha scelto di vivere abbracciando il voto di omertà. Se aprono la bocca è per lanciare messaggi. Sanno perfettamente di essere intercettati, in cella e durante la socialità. Sanno perfettamente che, nelle udienze, tutto ciò che dicono, viene recepito dallo Stato e dall’anti-Stato.
Il clan dei Casalesi guidato dalle sbarre
Michele Capastorta Zagaria, per la Dda di Napoli, attraverso i colloqui con i propri familiari e intervenendo (in video-collegamento) nei dibattimenti dove è ancora coinvolto, ha continuato a dettare la linea alla sua cosca. E le parole usate in quelle circostanze gli sono costate l’ennesima accusa di associazione mafiosa ed un nuovo processo dinanzi al tribunale di Napoli Nord.

Il verbale
A sostegno della tesi investigativa, il pm Maurizio Giordano depositerà ai giudici normanni il verbale di udienza del 10 dicembre 2019: si tratta del dibattimento, trattato dalla Corte d’Assise partenopea, sull’omicidio di Nicola Villano e sul tentato assassinio di Raffaele Della Volpe. Il documento contiene le dichiarazioni spontanee rese dal boss di Casapesenna dopo aver ascoltato l’esame e il contro-esame di Nicola Schiavone (era stato citato come teste dal pm Antonello Ardituro).
Le parole di Zagaria
“L’unica mia dichiarazione non… Voglio solo precisare l’ultima fase dell’interrogatorio del signore Schiavone. Non è niente vero – disse il casapesennese a giudici della Corte d’Assise – né il fatto dei Salzillo né il fatto di… Io non ho saputo più niente di questa situazione, non m’interessava. Non è vero che speravo in questa situazione, perché io, fino a prova contraria, lui lo sa, Nicola non l’ho mai capito, ma lo sa il papà, io quanto stimo il papà, non a lui; perciò lui non si può permettere né di nominare me e né di nominare il papà. Si dovrebbe vergognare di nominare il papà! Mi sono spiegato? Questo è quello che dovevo dire. Perché io se sapevo direttamente che Antonio Salzillo era in zona e poteva fare danni sia a Nicola Schiavone, che a Antonio Iovine o a me o a qualcun altro, io sarei intervenuto come sono intervenuto tutte le volte possibili e immaginabili! La ringrazio. Presidente, grazie”. Era il 10 dicembre del 2019. E 5 mesi dopo, a maggio, il boss ha incassato l’ennesimo ergastolo: per i giudici è stato il mandante dell’omicidio di Villano.
Effetto Schiavone
Il primogenito di Francesco Sandokan Schiavone per Michele Zagaria non è ‘uno dei tanti’ che, negli ultimi anni, ha iniziato a parlare con i magistrati rivelando affari, colletti bianchi collusi e assassini. E non lo è per due ragioni. La prima: è il figlio del capo dei Casalesi. La seconda: è il mafioso che dodici anni fa era stato sul punto di eliminarlo. Nicola Schiavone voleva ammazzare Zagaria (e viceversa).

La guerra fredda tra i boss
Tra il 2008 e il 2009 il cartello è stato ad un passo dall’implosione: rischiava di essere seppellito da una faida intestina senza precedenti. Poi a bloccare tutto ci hanno pensato gli arresti. E la polvere è stata messa sotto ai tappeti. Un colpo di spugna e la ruggine è andata via (perché il clan aveva altro a cui pensare: era impegnato a sopravvivere). Ma la tregua non è durata troppo. La guerra fredda tra i due boss è ripresa nel luglio del 2018, quando Schiavone ha deciso di collaborare con la giustizia.
Il giuramento
Michele Zagaria sei mesi fa è tornato a giurare fedeltà al suo capo. Un messaggio inquietante. Un segnale che Capastorta ha voluto lanciare per dare sicurezza agli affiliati. Perché il boss di Casapesenna era stato ad un passo dal cedere: nel 2016 aveva scritto una lettera alla sorella Beatrice. Nella missiva (intercettata dalla Dia) si diceva pronto a pentirsi, a compiere il passo. Poi la marcia indietro.
“Nicola non l’ho mai capito, ma lo sa il papà, io quanto stimo il papà, non a lui”. Capastorta è vicino al Sandokan, che in silenzio sopporta il 41 bis. Ma è distante da Nicola, che adesso collabora con la giustizia. “Perciò non si può permettere né di nominare me né il papà”. E’ fuori dal clan. Ha violato il patto di omertà. Lui no.
La lotta al clan
Un messaggio pericoloso e allo stesso tempo, per la procura distrettuale, chiaro: è l’ennesimo che Zagaria fa per continuare a guidare la cosca. Nonostante le sbarre, nonostante le confische, nonostante gli arresti. Un messaggio che mostra quanto il casapesennese sia ancora pericoloso. E per tale ragione non bisogna abbassare la guardia. Non gli vanno concessi margini. In un contesto del genere, ad esempio spedire il fratello Pasquale, mente imprenditoriale del gruppo, ai domiciliari anziché lasciarlo al 41 bis (dove dovrebbe stare per qualche altro anno) diventa rischioso.

I nervi scoperti di Capastorta
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Per sconfiggere il clan Zagaria bisogna insistere sui nervi scoperti del boss. Come l’omicidio di Antonio Salzillo. Se Capastorta, lo scorso dicembre, è arrivato a giurare di nuovo fedeltà a Sandokan è perché Nicola Schiavone aveva ricordato in aula proprio quel delitto. Nel 2009 il nipote di Antonio Bardellino lasciò il Basso Lazio per tornare in provincia di Caserta. Era il ‘parente’ del nemico. La sua famiglia era stata sconfitta e lui ostracizzato. Ma senza permesso era riapparso in Terra di Lavoro. A Schiavone la questione ‘puzzava’: non lo ha detto chiaramente, ma dietro ci vedeva (ci vede) lo zampino di Zagaria. Magari era stato Capastorta a farlo rientrare, o quantomeno, pensava, aveva fatto finta di non vederlo, per indebolire proprio la sua cosca. E così il figlio di Sandokan decise di agire in autonomia. Lo eliminò. Senza coinvolgere né il casapesennese, né Antonio Iovine (entrambi all’epoca ancora latitanti). Era il marzo di 11 anni fa. L’auto di Salzillo venne crivellata dai colpi del commando sulla strada che collega Cancello Arnone a Villa Literno. Zagaria si è provato a giustificare: “Non è niente vero né il fatto dei Salzillo né il fatto di… Io non ho saputo più niente di questa situazione, non m’interessava”. E’ un nervo scoperto per Capastorta. Quella storia lo manda in tilt. Come quando si inizia a parlare di suoi presunti contatti con i servi segreti. Non lo digerisce. Partire da questi temi per indebolirlo. Potrebbe essere la mossa giusta.
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