Correva turbolento il tempo della contestazione studentesca. Nelle università i cattivi maestri facevano quel che volevano innanzi a docenti contestati, intimiditi e minacciati. Cominciava in quel periodo la pedissequa destrutturazione di quella che la sinistra extra parlamentare aveva etichettato come cultura nozionistica, reazionaria e borghese. Dagli esami di gruppo al 18 politico, si alternavano le trovate più stravaganti. Il tutto finalizzato a consegnare il “potere” ai veri servitori del popolo, un’espressione, quest’ultima, che suonava beffarda, perché i cosiddetti “rivoluzionari” erano perlopiù provenienti da classi sociali elevate. I veri figli del popolo, cresciuti negli stenti del dopoguerra, erano quelli arruolati in polizia e carabinieri, sovente oggetto di scherno e di aggressioni. Quegli anni videro occupazioni di scuole ed atenei, assemblee permanenti con relativo blocco delle lezioni, quotidiana razione di scontri di piazza tra opposti estremismi. “So’ ragazzi che si sfogano, vogliono cambiare il mondo” minimizzavano a casa i loro genitori, adulti, anch’essi di sinistra, “perché avevano imparato a mangiare il pesce col coltello”, avrebbe poi scritto Ennio Flajano. E tollerante fu, in quel tempo, anche la politica che poco o nulla comprese della dimensione di quel fenomeno. Quei giovani dichiaravano la lotta per il diritto allo studio, che, in verità, nessuno aveva mai messo in discussione. I loro neologismi identificavano gli obiettivi politici da raggiungere (come la gratuità dell’università ed i sussidi economici), reclamandoli su base reddituale più che meritocratica. In questo brodo di cultura, a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, si innestò poi anche la mala pianta del terrorismo e della lotta armata contro lo Stato e con essa la cosiddetta “strategia della tensione”. La bomba sul treno Italicus, quella fatta deflagrare alla stazione di Bologna e la strage del rapido 904, ne furono alcuni fra i più tristi esempi. In quel tempo un libro di scarso valore intitolato “Porci con le ali”, scritto dalla giornalista comunista Lidia Ravera e da Marco Lombardo Radice, fu sceneggiato per l’omonimo film del 1977. Comunista militante era, non a caso, anche il regista che lo diresse, Paolo Pietrangeli. La pellicola narrava la storia sentimentale di alcuni adolescenti calata nel classico contesto esperienzale di sinistra. Ebbene, fu anche grazie al contributo fornito da quel lavoro se ben presto si iniziò ad inneggiare, in tutto il Paese, alle infallibili e progressive sorti del comunismo maoista, identificato come una sorta di “paradiso popolare” ma in realtà, come poi avrebbero dimostrato e documentato gli storici, un inferno fatto di deportazioni, carestie indotte, malattie e milioni di morti. Eppure, pur a fronte di queste drammatiche evidenze, in Italia il libretto rosso di Mao continuava a suscitare ammirati e ferventi commenti da parte di intellettuali, artisti, politici, filosofi e sociologi di sinistra. Tutti parte attiva di quel variegato mondo che legittimava, sosteneva ed accreditava le teorie marxiste come l’approdo ad una nuova società più equa e solidale. Fu in quel periodo di lucida follia che si coniarono le parole d’ordine del cosiddetto movimento comunista combattente, alternativo allo stesso partito comunista italiano ritenuto ormai imborghesito ed asservito alla logica del potere. I militanti di quel movimento diedero vita ad espropri ed occupazione delle case, intesi come modelli culturali e etici da realizzare. Espropri, beninteso, senza alcun ristoro, perché dovevano semplicemente sancire la vittoria del proletariato. Don Luigi Sturzo, insuperato maestro del popolarismo liberale, soleva dire che al grido “tutti proletari” preferiva quello di “tutti proprietari”. Parole ritornate alla mente allorquando si è appreso che il M5S sostiene una proposta di legge con la quale si bloccano gli sfratti anche per morosità. La soppressione del diritto di proprietà, l’esproprio senza risarcimento, ritornano dunque come proposte di piccoli demagoghi approdati in Parlamento. Si tratta di ignari orecchianti, non meno pericolosi, che siedono indegnamente su quegli scranni, capaci finanche di riproporre rimedi inaccettabili. Limitare il godimento pieno della proprietà significa sconfessare alla base ogni altro diritto ed ogni libertà al cittadino di poter utilizzare e godere del frutto del proprio lavoro. Principi ineludibili dello Stato moderno intorno ai quali non dovrebbero giocare taluni “onorevoli”, incolti discendenti di un’era politica e sociale già bollata con il marchio dell’infamia dalla storia dell’umanità. Come nel film di Pietrangeli, per questi rappresentanti parlamentari valga il titolo di “Porci con le ali”.
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