Roma, 23 mar. (LaPresse) – Il decreto ‘Salva Ilva’ del 2015, che consentiva la prosecuzione dell’attività dell’impianto nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori, è incostituzionale. A stabilirlo è la Consulta, che ha applicato gli stessi principi della sentenza del 2013 in base ai quali il legislatore, pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell’iniziativa economica e della continuità occupazionale. In quell’occasione, la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati; in questo caso, invece, la Corte ha ritenuto che il legislatore abbia privilegiato unicamente le esigenze dell’iniziativa economica e sacrificato completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori.
A fine giugno 2015 l’impianto fu sequestrato dopo l’incidente mortale in cui aveva perso la vita Alessandro Morricella, operaio 35enne, investito da una violenta fiammata sprigionatasi dall’altoforno 2. È “pacifico” che l’impianto fosse “sprovvisto dei più elementari dispositivi destinati e idonei alla protezione dell’incolumità dei lavoratori”, scrisse il Gip di Taranto nel decreto di convalida del sequestro senza facoltà d’uso. Il 3 luglio arrivò il decreto del governo secondo cui che nei casi di aziende di rilevanza strategica nazionale, sottoposti a provvedimenti cautelari da parte della magistratura, non è impedita la prosecuzione dell’attività d’impresa purché l’azienda presenti in termini stringenti un piano per l’adozione di misure aggiuntive in materia di sicurezza del lavoro.
I giudici costituzionali hanno però dichiarato illegittima la norma, oltretutto introdotta e tenuta in vita, secondo la Corte, con un’anomala procedura legislativa: la norma era stata infatti introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell’impianto, poi era stata abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, era stata trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti.
Pronta la replica dell’azienda secondo cui la decisione della Consulta “non ha alcun impatto sulla continuità dell’attività produttiva in quanto la restituzione dell’Altoforno 2 è stata ottenuta da Ilva nel settembre 2015 non in base al decreto oggi dichiarato illegittimo, ma in forza di un provvedimento della Procura che, in accoglimento di un’istanza presentata dalla società ha restituito l’impianto condizionatamente all’adempimento di determinate prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate”.
“La sentenza della Corte Costituzionale – sottolinea il commissario straordinario Enrico Laghi – non incide minimamente sulla operatività dell’impianto. Pur in presenza del decreto legge, oggi giudicato incostituzionale, per il dissequestro dell’altoforno avevamo scelto di intesa con la Procura di Taranto la via ordinaria prevista dal codice di procedura penale. Le norme del decreto dunque avrebbero rappresentato solo una soluzione alternativa, che non è stata però perseguita. Per questo motivo non c’è nulla da temere per Ilva dalla sentenza della Corte Costituzionale”.