18 mag. (LaPresse)
È la “città dei due mari” per la sua originalissima conformazione, come un otto, con il Mar grande e un bacino più interno, il Mar piccolo: al centro, in una lingua di terra, la “Taranto vecchia”, ferma a più di mezzo secolo fa.
Una città che ha addirittura due mari, ma che spesso è stata costretta a dimenticarsene, e a volgere le spalle alla sua risorsa più preziosa. Anche se i café chantant e i teatri sono solo un ricordo sbiadito degli anni del boom, quando era forse l’unico luogo del sud ad attrarre manodopera dal settentrione, Taranto conserva ancora le tracce di un’Italia che altrove è scomparsa. E le mostra poco a poco, al visitatore che si sofferma abbastanza per andare oltre la superficie, come in un museo all’aperto che riassume le vicende, spesso amare, dell’intera nazione. La racconta “Mare Nostrum”, in onda stasera alle 21.10 su Rai Storia.
Un documentario che è un viaggio dall’arsenale, un tempo il più importante d’Italia, agli impianti siderurgici che oggi pongono un’alternativa, ancora da sciogliere, tra salute e lavoro, dai resti degli insediamenti antichi, quando era la Perla dello Jonio, raccolti in un museo che è il fiore all’occhiello della città, il MarTa, alle attività di coltivazione dei mitili, conosciuti in ogni parte d’Italia. Una città che nel corso del tempo si è ampliata a dismisura, e che ora si sta di nuovo contraendo, riducendo su dimensioni più umane; cercando di conservare un’identità legata alla sua storia millenaria e al suo recente passato industriale.“Mare Nostrum” esplora Taranto attraverso gli uomini e le donne che lavorano nel suo Arsenale, esperti di vaglio come l’architetto Luigi Oliva e la direttrice del MarTa Eva Degli Innocenti, e pescatori che ogni giorno cercano nel suo mare le ragioni di un futuro tutto da inventare.