Milano (LaPresse) – Una serata difficile, fuori dal comune per uno come Eddie Vedder, a cui, normalmente, di certo la voce non manca. E invece, per la prima volta nella sua lunga carriera, quello strumento che cura, ama, e che da oltre 25 anni ammalia milioni di persone gli ha giocato un brutto scherzo. Lo ha abbandonato, poco prima del secondo concerto londinese, annullato proprio per questo dai Pearl Jam. Ma ai fan italiani l’avevano promesso: ce l’avrebbero fatta a rimettersi in sesto in pochi giorni e a confermare le tre date nel Paese che tanto amano, dopo 4 anni di assenza. E così è stato. Anche se, nel live milanese degli I-Days, Vedder è evidentemente a mezzo servizio, con la voce ai minimi sindacali. Ne risente la scaletta, decisamente accorciata rispetto alle date precedenti.
Ma Eddie ci prova, si sforza, e per cercare di non peggiorare la sua precaria condizione di salute chiede un aiuto speciale al pubblico: “Stasera non sono il cantante migliore del mondo, ma Milano tira fuori il meglio dai cantanti peggiori. Stavolta fate anche voi parte della band“, dice dopo aver aperto il concerto con ‘Release’, primo brano suonato nel 1992 in Italia. E la carica degli oltre 60mila accorsi in quella sorta di cimitero degli elefanti che è l’ex area Expo, fra le carcasse dei padiglioni e l’Albero della Vita, non si fa trovare impreparata. Le canta tutte, pure quando Vedder non ce la fa. Ma non sono solo loro a dare il loro supporto al cantante di Seattle. Per una volta è la band, quella vera, a diventare protagonista della serata.
Eddie Vedder non fa mancare il suo supporto nonostante i problemi di voce
Dal chitarrista Stone Glossard al microfono per ‘Mankind’ al collega Mike McCready che si sfoga più volte con lunghi assoli sulle sei corde, permettendo a Eddie di riposare le sue due, di corde.
Vedder, nel frattempo, da animale da palcoscenico quale è, fa tutto il possibile per non lasciare sentire troppo la sua mancanza. Suona il tamburello e ne lancia una quantità infinita verso la folla, salta, si arrampica sulla struttura del palco. La voce gli manca, l’energia no.
Così come un filo di romanticismo, che, si sa, in Italia è sempre apprezzato. E così chiama sul palco la moglie Jill McCormick, per festeggiare il 18esimo anniversario dal giorno in cui si sono conosciuti, proprio dopo il concerto milanese del 2000. Buoni sentimenti, sì, ma anche impegno e critica politica. Dietro il giubbotto di jeans di Jill, infatti, compare la scritta: “Yes we all care. Y don’t u”. A noi interessa, perché a te no? E’ un’evidente risposta alla giacca indossata dalla first lady Melania con la frase “Really don’t care. Do u?” durante la visita al confine tra Usa e Messico. E c’è posto per la critica al governo Trump pure nella versione di ‘Another brick in the wall’ dei Pink Floyd, della quale Eddie cambia una frase: “Nielsen, lascia stare quei bambini”, rivolta alla segretaria alla sicurezza nazionale Usa.
La voce manca, ma non importa, perché c’è tanto altro. A partire da quei 60mila tra i 30 e i 50 anni, travolti e segnati dal grunge. E che ora, ai concerti dell’unica band rimasta, ci portano i figli.
Chiara Troiano