MILANO (LaPresse) – Il Wwf denuncia la fine delle scorte europee di pesce. Dagli oceani arrivano due segnali di allarme. Il primo è stato pubblicato dalla Fao nel rapporto ‘Sofia’ appena pubblicato e che evidenzia il drammatico stato in cui versano gli oceani. Circa il 33% degli stock ittici globali è in stato di sovrasfruttamento e circa il 60% viene pescato al massimo della propria capacità. Nonostante l’incremento annuale del consumo di pesce a livello globale (3,2%) abbia superato la crescita della popolazione (1,6%), più di 800 milioni di persone continuano a dipendere da questa risorsa per la propria sopravvivenza. Come fonte di cibo, guadagno e sostegno, sia nella pesca che per l’allevamento. Il secondo segnale è la fine ‘simbolica’ per l’Europa delle proprie scorte di pesce.
Il Fish dependance day
“Oggi è il ‘Fish dependence day’ europeo. Ciò vuol dire che da ora e per tutto il resto dell’anno, l’Europa dipenderà dalle importazioni di pesce, crostacei e molluschi per soddisfare la richiesta dei consumatori della regione“. Lo denuncia il Wwf in un comunicato. “Sulle nostre tavole c’è infatti più pesce di quanto se ne possa pescare nei nostri mari o allevare nei nostri impianti di acquacoltura”. Oltre metà della domanda europea di pesce è ‘soddisfatta’ dal resto degli oceani. Soprattutto dai paesi in via di sviluppo che forniscono la metà del pesce presente nel ‘piatto’ dei consumatori europei.
Il consumo di pesce in Europa dipende sempre più dall’importazione
“In poco più di 3 mesi, l’Italia ha consumato l’equivalente dell’intera produzione ittica annuale nazionale e la restante parte dell’anno dipenderà dalle importazioni di pesce, soprattutto dai paesi in via di sviluppo. E’ nostro dovere gestire gli oceani con più attenzione se vogliamo che il pesce continui a nutrire le generazioni future. Oggi assistiamo ad una inversione di paradigma, il settore ittico è in crisi, i pescatori diminuiscono ma non lo sforzo di pesca. Significa che si pesca meno ma peggio”. Lo dichiara la presidente di Wwf italia, Donatella Bianchi.
“Il Fish dependence day europeo è arrivato un mese prima rispetto a quanto accadeva nell’anno 2000. Fino a trent’anni fa l’Europa riusciva a soddisfare la propria domanda interna con pesca e allevamento locali fino a settembre o ottobre. Dobbiamo modificare le politiche globali, la richiesta e il consumo, in una direzione sostenibile, se non vogliamo esaurire il pesce rimasto a disposizione”.
Italia all’ottavo posto in Europa per consumo di pesce
Rispetto ai consumi pro capite, l’Italia è all’ottavo posto in Europa: gli italiani consumano in media 28,9 kg l’anno. Siamo preceduti da Portogallo (55,3 kg), Spagna (46,2 kg), Lituania (44,7 kg), Francia (34,4 kg), Svezia (33,2 kg), Lussemburgo (33,1 kg) e Malta (32 kg). I primi 5 paesi sopra elencati consumano da soli un terzo di tutto il pesce pescato e allevato in Europa. La media per ogni cittadino europeo è di 22,7 kg di pesce l’anno. In Europa ci sono ancora alcuni paesi autonomi, ovvero, in grado di pescare e produrre quanto – o più di quanto – consumino internamente: questi sono la Croazia, i Paesi Bassi, l’Estonia e l’Irlanda. La stragrande maggioranza, invece, consuma più di quanto sia in grado di pescare e produrre, dipendendo così dalle importazioni per sostenere i propri consumi nazionali, da un certo momento in poi dell’anno, a volte molto in anticipo.
Il fenomeno della sovrapesca
In questi ultimi vent’anni il problema globale della sovrapesca è aumentato drammaticamente. In più, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, amplifica ulteriormente la pressione sugli stock ittici. Sebbene alcuni stock si siano stabilizzati – grazie alle azioni intraprese nell’ambito della Politica Comune della Pesca – i livelli di autosufficienza europei per quanto riguarda il pesce sono ancora troppo bassi e troppi stock risultano ancora sovra sfruttati. Secondo la Commissione Europea, il 41% degli stock ittici analizzati in Atlantico sono sfruttati eccessivamente. Questa percentuale sale all’88% se si guarda a quelli del Mediterraneo. La sovrapesca colpisce anche gli stock ittici dei paesi in via di sviluppo che dipendono fortemente da questa preziosa risorsa.
“Che si tratti di pesce di provenienza nazionale o di importazione, la cosa importante è fare una scelta sostenibile. Aiutando così gli oceani e gli stock ittici a recuperare e a sostenere il benessere di quelle persone che dipendono dal pesce come fonte primaria di cibo e reddito”, conclude Donatella Bianchi.