ROMA (LaPresse) – “Non posso dimenticare le urla disperate dei miei genitori quando ebbero la possibilità di vedere il cadavere del figlio. Piangevano, imprecavano, io non avrei voluto vederlo, preferivo ricordarlo con il suo sorriso. Ma poi ho ceduto e ho visto una scena pietosa. Un corpo irriconoscibile, non sembrava neppure Stefano. Aveva il volto tumefatto, un occhio fuori dall’orbita, la mascella rotta, l’espressione del volto segnato da sofferenza e solitudine nella quale era morto. Ero pietrificata, non era possibile che un essere umano fosse ridotto in quelle condizioni”. È quanto detto da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, che così ha ricordato davanti ai giudici, il giovane morto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Una settimana dopo l’arresto per droga.
La testimonianza della sorella di Stefano
“La nostra era una famiglia fantastica e meravigliosa, sempre unita, nonostante le tante batoste dovute ai problemi di tossicodipendenza di Stefano“. Lo ha aggiunto la donna durante la testimonianza nel processo che vede imputati 5 carabinieri. “Non c’era Natale o compleanno che non festeggiassimo sempre assieme. Stefano era come me, non tollerava le ingiustizie. Spesso litigavamo anche pesantemente, ma da parte sua non ricordo mai un gesto di violenza fisica. Aveva un bel caratterino. La sera prima dell’arresto era andato in palestra. Stava bene, era magro come me, ma non aveva alcun problema di salute. Fino all’ultimo istante della sua vita, ha combattuto e lottato per essere aiutato”.
I carabinieri coinvolti nel processo Cucchi
Sono cinque i carabinieri coinvolti nel processo sulla morte del geometra romano in corso davanti alla prima Corte d’Assise del tribunale di Roma. Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini. Che all’epoca dei fatti era a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.