Notte fonda nel Pd: Calenda invoca Gentiloni e insulta i giovani, Renzi pensa alla scissione al contrario

Solo Zingaretti pensa al Congresso, che rischia di svuotarsi di significato politico

Foto LaPresse - Andrea Panegrossi in foto Nicola Zingaretti

ROMA – Carlo Calenda chiede a Paolo Gentiloni di scendere in campo e prendere in mano le sorti del Pd. Intanto, da Salsomaggiore, Matteo Renzi ha gettato le basi per un nuovo partito o una nuova scissione. Zingaretti continua la sua campagna per il Congresso E’ ancora notte fonda nel Partito Democratico, incapace di trovare e darsi una linea politica. Dalle insidie, come spesso accade, possono nascere delle opportunità.

Calenda invoca Gentiloni per salvare il Pd

Ieri è stata una meravigliosa giornata di impegno civico. Le piazze di Torino e Roma ma anche le tantissime persone che incontro in giro per l’Italia, dimostrano che il paese si sta risvegliando“, spiega Calenda. “Per contrasto ieri è stata una pessima giornata per il PD.  Da un lato da Salsomaggiore partivano accuse, rivendicazioni e astio nei confronti di tutti quelli che non erano presenti. Dall’altro dalla riunione dei militanti under 35 si rispondeva con analoghi toni e contenuti. Chiedo a Gentiloni discendere in campo“. Che prima o poi qualcuno invocasse Gentiloni era nell’aria. L’ex premier gode di una credibilità maggiore rispetto ad altri. Invischiarlo nella querelle interna, però, può essere un autogol. Così come insultare una riunione di 200 under 35, se i Dem vogliono ripartire, non è una mossa saggia. Ma tant’è.

Renzi verso la scissione all’incontrario, ‘nel nome di Matteo’

Intanto da Salsomaggiore è di fatto nata, sotto il culto della persona, la corrente renziana. Anche se Matteo Renzi, più volte, ha affermato il contrario. Il tenore degli interventi dei vari Guerini, Lotti, Rosato e delle stesso Matteo Renzi, più che altro, fa presagire la nascita di un nuovo soggetto politico. Di una scissione all’incontrario. Le ragioni sono tante. La prima è che Matteo Renzi è Matteo Renzi, è non può stare sotto il comando di nessuno. Ogni intervento nella kermesse di ieri partiva da una premessa: Matteo guidaci. Dove? Non importa. Anche il richiamo a Minniti suona vuoto, in pochi ci credono o vogliono crederci. Intanto i comitati di ritorno al futuro continuano, l’ex segretario persevera nell’insulto fine a se stesso contro il governo e soprattutto rivendica. Rivendica i due 40% presi, rivendica i mille giorni. Dà la colpa delle sconfitte un po’ a Gentiloni, un po’ alle minoranze. Insomma, da Salsomaggiore emerge una ed una sola cosa: il Pd non è più la casa di Renzi e dei suoi accoliti. L’obiettivo è che l’ex sindaco di Firenze sia a capo di qualcosa. L’antitesi del leader, direbbe qualcuno. Ma per i Dem e per la sinistra, in realtà, è una opportunità da non perdere.

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