MILANO – Nella cantina del palazzo al numero 20 di via Cogne, dov’è stato ucciso Andrea La Rosa, forse non c’erano solo Raffale Rullo e la madre Antonietta Biancaniello. Una o più persone da identificare potrebbero averli aiutati a infilare l’ex calciatore – stordito da una forte dose di psicofarmaci ma ancora vivo – all’interno di un bidone del gasolio, a riempirlo di acido e sigillarlo.
Milano, il ritrovamento del corpo
Il corpo del 35enne, scomparso il 14 novembre del 2017, è stato trovato solo un mese dopo, nel bagagliaio dell’auto della donna. Ad ucciderlo per “asfissia meccanica” ci hanno pensato le esalazioni. Una fine atroce, quella di Andrea La Rosa, ‘colpevole’ solo di aver prestato del denaro a Rullo, che non poteva risarcire il debito.
Si ipotizza il coinvolgimento di una terza persona
Antonietta Biancaniello e il figlio, però, potrebbero non aver fatto tutto da soli. Il nuovo spunto investigativo arriva dai medici legali Cristina Cattaneo e Andrea Piccinini e dal tossicologo Domenico Di Candi. Che in aula hanno illustrato punto per punto la perizia stilata per conto della Procura per chiarire la dinamica dell’omicidio.
Nella cantina numero 29, quella del delitto, gli investigatori hanno trovato quattro mozziconi di sigaretta.
Su un mozzicone tracce di dna
Su uno c’erano tracce di Dna dell’imputata, della vittima (che pure non fumava) e di un’altra persona che non è stato ancora possibile individuare. I consulenti, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Eugenio Fusco e del pm Maura Ripamonti, hanno spiegato che altre tracce biologiche appartenenti ad almeno “altri due soggetti sconosciuti” sono state ritrovate su una presa elettrica. E sul cavo di una lampada che sarebbe stata portata dalla cantina della Biancaniello, che prima di quel giorno era sigillata, a quella dov’è stato ucciso l’ex calciatore.
Le ipotesi degli inquirenti
Anche su un muro c’era del Dna di La Rosa, misto a quello di altri. Il locale però era aperto e tutte queste tracce potrebbero essere state lasciate tempo prima da qualcuno che con queste brutta storia non c’entra niente.
La linea difensiva degli imputati
Possibile, certo, ma non probabile per l’avvocato Ermanno Gorpia, che difende gli imputati. Ed è convinto che da questi nuovi elementi “potrebbero venire fuori dati molto importanti”. “Se il Dna sul cavo della lampada fosse identico a quello che c’è sul mozzicone di sigaretta o a quello che c’è sul pavimento – ha spiegato – le indicazioni sarebbero ben maggiori”.
Sorgono nuovi interrogativi
Ma c’è di più. Per spiegare perché l’omicidio sia stato commesso da più di una persona gli esperti nominati dalla Procura hanno spiegato che difficilmente Antonietta Biancaniello, che da sempre si è addossata tutte le responsabilità, avrebbe potuto calare il copro della vittima, che era alto circa 1,70 e pesava 70 chili, nel bidone senza alcun aiuto.
(LaPresse/di Benedetta Dalla Rovere)