L’AQUILA – Dieci anni. Dieci anni esatti sono passati dalla maledetta notte del 6 aprile 2009. L’Aquila è sveglia, stanotte. Per ricordare. Ancora con le ferite aperte, ancora con un lutto non del tutto superato. Le 3,32, ora. Come allora. L’inizio di un incubo. Un boato nella notte. Una scossa di terremoto tremenda: 5,9 della scala Richter, 6,3 di magnitudo momento, ottavo-nono grado della scala Mercalli. Numeri freddi, che raccontano solo in parte lo strazio, la paura, una città che improvvisamente cade a pezzi. Trecentonove morti, 1600 feriti e 80mila sfollati. L’inferno.
Ore 3,32. L’Aquila finisce in pezzi
L’Aquila sfila con le fiaccole accese. In silenzio. Ferma alle 3,32. Stanotte, insieme ai citadini della zona, ci sono i terremotati di Amatrice e Rigopiano, dell’Emilia Romagna, di San Giuliano di Puglia. Con loro il premier Giuseppe Conte e il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Tanti rappresentanti istituzionali mischiati alla gente che ha avuto il coraggio di rialzare la testa. Nonostante la paura, nonostante gli scandali, nonostante le lungaggini della politica. Nonostante il dolore.
Storie dimenticate di una tragedia mai finita
La casa dello studente in pezzi, il patrimonio storico e architettonico ferito nel profondo. La storia di una mamma, rimasta sotto le macerie, che il giorno dopo avrebbe dovuto far nascere la sua bambina. I miracoli, come la donna di 98 anni sopravvissuta 30 ore nelle macerie della sua casa facendo l’uncinetto. Frammenti di gioia, sollievo, strazio e morte. Tanti in Italia hanno dimenticato troppo presto. C’è ancora tanto, tantissimo da fare, perché L’Aquila possa mettersi alle spalle quella notte di inaccettabile dolore. Al di là degli scandali della prevedibilità, degli sprechi di una ricostruzione mai ultimata (10 miliardi di euro i danni stimati). Il Paese ricorda stanotte. Alle 3,32. Non smetta di farlo.