L’affare del clan dei Casalesi sul terreno della Curia

Il pentito dei Casalesi: “A propormelo fu Vincenzo Conte, dopo si inserì anche Antonio Iovine. All'ingegnere Toscano il compito di trattare con la chiesa. Lanza doveva intestarsi il fondo”

Foto LaPresse - Marco Cantile 10/07/2015 Caserta (IT) Cronaca Blitz del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta. 7 persone affiliate al clan dei "Casalesi" fazione Iovine. Ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso. Coinvolti anche Pubblici Amministratori del Comune di Villa Di Briano. Nella foto: Lanza Benito

VILLA DI BRIANO – I lavori pubblici erano cosa di Antonio Iovine. Ma Nicola Schiavone sul territorio avrebbe avuto agganci tali da permettersi di concretizzare affari anche autonomamente, senza l’aiuto di ‘o Ninno. Uno di questi business, la scorsa settimana, è stato trattato nel processo a carico di Nicola Magliulo e Benito Lanza, rispettivamente accusati di concorso esterno al clan dei Casalesi e associazione mafiosa. A raccontarlo è stato proprio Schiavone. Il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande del pm Catello Maresca, ha parlato della compravendita di un terreno di proprietà della Curia “non troppo lontano dal centro di Villa di Briano”.

La proposta di Conte

A proporglielo, tra il 2006 e il 2007, fu uno storico affiliato della cosca, Vincenzo Conte nase ‘e cane: “Con lui – ha ricordato il pentito, assistito dal legale Stefania Pacelli, – venne anche un certo Mario detto Cicolino. Era il parente dei coloni di quel fondo”. Al boss, infatti, fu garantito il sostegno all’operazione proprio da chi per anni aveva coltivato l’area in questione: “Potevano creare problemi. Avrebbero avuto il diritto di prelazione o pretendere un ristoro economico. E invece con una stretta di mano mi accordai con uno dei coloni promettendo di cedergli dopo l’acquisto circa 4mila metri quadrati di terreno. In cambio avrebbero firmato la rinuncia a pretendere dal notaio”.

Il ruolo dell’ingegnere

Nicola Schiavone ha indicato al collegio, presieduto dal giudice Roberto Donatiello, pure chi si sarebbe dovuto occupare della trattativa con la Curia: “Era l’ingegnere Toscano, di San Marcellino”. Formalmente, invece, l’acquisto, ha aggiunto il collaboratore, doveva essere fatto da un imprenditore sanciprianese: “Con l’ingegnere ci vedemmo a casa di Nicola ed Emilio Di Sarno”.

L’operazione sarebbe costata “tra i 5 e gli 8 euro a metro quadrato. Nero compreso arrivavamo a 700mila euro”. E la somma non dichiarata, ha aggiunto il figlio del capoclan, sarebbe servita a Toscano “per gestire l’affare con la Curia. Non so con chi si interfacciava, non lo chiedevo”. Per far fruttare l’investimento, una volta comprato il fondo, bisognava trasformarlo da agricolo a edificabile.

“So che sul Comune a disposizione del clan c’era Nicola Magliulo (difeso dall’avocato Carlo De Stavola). Mi disse che voleva partecipare anche lui all’affare. Gli dissi che non c’era bisogno, che avrei pensato io a lui. Propose di far concretizzare la compravendita da Ferdinando Di Lauro (assolto in primo grado dall’accusa di partecipazione al clan dei Casalesi). Ma feci notare che era meglio di no perché a Di Lauro gli stava facendo fare già troppe cose in quel periodo”.

La pressione di Lanza

A far pressione su Schiavone per l’affare ci pensò anche Bruno Lanza (attuale collaboratore di giustizia). “Allora decisi di far fare a loro. Mi proposero Benito Lanza (difeso dai legali Camillo Irace e Raffaele Griffo), quello della polleria, per far comprare il terreno. Accettai. Praticamente si invertirono i ruoli. Loro avrebbero dovuto mettere la quota ed io prendere parte degli introiti”. Ma l’affare si arenò perché alla Curia, ha spiegato il pentito, venne fatta “un’offerta irrisoria: un euro e mezzo a metro quadrato”.

L’incontro a casa di Barbato

Ad avvertire il boss sarebbe stato proprio tale Toscano. “Così mandai a chiamare Benito Lanza. Ci vedemmo a casa di Mario Barbato. Mi disse che Iovine non gli aveva mandato i soldi per l’acquisto”. E ‘o Ninno sollecitato da Schiavone ad inviare il denaro a Lanza “si giustificò dicendo che aveva avuto qualche difficoltà”. “A questo punto – ha aggiunto il pentito – arriviamo nel 2009. La situazione cambia”. Inizia la rottura con Michele Zagaria, prende il via la stagione stragista di Giuseppe Setola e vanno in scena i raid di morte ordinati dallo stesso Schiavone: “Sapevo che dovevano arrestarmi. Non ebbi modo di poter seguire bene l’affare. Poi nel giugno del 2010 fui preso”. Il dibattimento riprenderà a maggio per interrogare Bruno Lanza. Nel processo è costituto parte civile anche il Comune di Villa di Briano, rappresentato dall’avvocato Raffaele Vanacore.

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