Litigi, visioni opposte. Il governo penta-leghista è attraversato da spaccatura profonde. Prima il caso Diciotti, gli sbarchi, la Tav. E ora l’indagine su Siri e l’esposto dell’ex ad di Ama che tira in ballo il sindaco Virginia Raggi. Nonostante le frizioni, Matteo Salvini vuole andare avanti: “Mi auguro che qualcuno non voglia far saltare il tavolo per interessi di partito. Io non ho intenzione né di andare a votare prima del previsto, né di tornare al passato. Io – ha affermato il vicepremier in un’intervista a Qn – non rispondo alle provocazioni”.
Ma la gestione politica del caso Siri preoccupa Nino Di Matteo. “Da sempre, il potere mafioso ha una grande capacità di cogliere i segnali che arrivano dalla politica e dalle istituzioni. In questi giorni, sta registrando sensibilità diverse nelle due forze di governo, i Cinque Stelle e la Lega. I primi chiedono le dimissioni del sottosegretario indagato per corruzione in una più ampia vicenda che porta a Trapani, gli altri lo difendono. I mafiosi – ha aggiunto il sostituto procuratore della Dna rispondendo alle domande di Repubblica – capiscono subito su chi poter fare affidamento. La difesa a oltranza di un indagato per contestazioni di un certo peso potrebbe essere, in questo come in altri casi, un segnale che i poteri criminali apprezzano”.
E del sottosegretario del Carroccio finito sotto inchiesta parla anche il ministro Danilo Toninelli al Corriere della Sera: “La sospensione delle deleghe non è un atto contro Siri, ma a tutela delle istituzioni e persino a salvaguardia del suo diritto di difesa, dato che l’indagine tocca anche le funzioni da sottosegretario. Dopodiché, sarebbe auspicabile che si difendesse da semplice senatore, è una questione di opportunità politica.Ogni componente della squadra – ha aggiunto il grillino – deve essere in grado di lavorare serenamente per dare risultati, garantendo un servizio ai cittadini privo di ogni possibile ombra”.