E’ già successo una volta. Era il 2008 e rappresentò il de profundis per l’esecutivo, già debole di suo, guidato da Romano Prodi. E dopo 11 anni è un’indagine giudiziaria a rischiare di dare il colpo di grazia al governo. L’intesa tra Movimento 5 Stelle e Lega, già fragile, si è ulteriormente indebolita quando è stato messo sotto inchiesta per corruzione Armando Siri.
La questione non va letta come un’ingerenza della magistratura nella politica: è la politica che è diventata talmente debole e suscettibile da essere condizionata drasticamente dai pm che fanno il loro lavoro.
E lo scontro innescato dalla vicenda Siri, in realtà, è solo l’ultima, in ordine cronologica, di un elenco di incongruenze lunghissimo che caratterizza il governo: dalla gestione migranti alla Tav, passando per la flat tax e compagnia cantante. E ieri a dimostrare come la situazione ormai sia ai limiti è stato il caso Trenta: il Viminale ha dato il via ad una polemica accesa dopo un tweet ‘sbagliato’ cancellato dal ministro della Difesa.
Dal leader del Carroccio, sempre nella giornata di ieri, è arrivata prima una stoccata dura a Conte, dopo il suo invito alle dimissioni di Siri, poi il dietro fronte: “Si va avanti”, ha garantito il leghista.
Duro il tono usato da Di Maio per commentare le polemiche degli alleati: “Spiace – è la frecciatina al Carroccio – leggere ogni giorno di una Lega che dice di voler far cadere questo governo per una poltrona”. La vicenda, per il vicepremier grillinoi “si poteva risolvere con un passo indietro, invece è diventato un caso di Stato”.