ROMA – Due ore di Cdm e Armando Siri è fuori dal governo. “Il Consiglio dei ministri, sentito dal presidente Giuseppe Conte in ordine alla proposta di revoca della nomina del senatore Armando Siri a Sottosegretario di Stato, concertata con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, ne ha preso atto, confermando piena fiducia nell’operato del Presidente del Consiglio e ribadendo che la presunzione di non colpevolezza è un principio cardine del nostro ordinamento giuridico”, si legge nel comunicato ufficiale della presidenza del Consiglio, che in poche righe sintetizza la discussione, dai tratti simili a un processo, avvenuta a palazzo Chigi. “Voteremo contro”, minacciava il giorno prima il leader leghista Matteo Salvini. Ma dopo una riunione con i suoi che ha fatto slittare l’avvio del Cdm di quasi un’ora il Capitano e la Lega hanno “preso atto” della decisione del premier, certo ribadendo la propria contrarietà. Senza strappi, senza voti che avrebbero messo nero su bianco una frattura nell’esecutivo difficile da gestire. Ma senza nemmeno una vera ricomposizione.
Per stavolta il Carroccio, messo in difficoltà dall’inchiesta a poche settimane dal voto delle Europee, sceglie di incassare, con il M5s che segna un punto a suo favore e permette a Luigi Di Maio di prendere la parola per l’Esecutivo assicurando che “ora andiamo avanti, per 4 anni” e sollecita l’apertura di un tavolo di governo su flat tax e salario minimo. Ma l’alleato non risponde all’appello: non ci si parla più, il tempo dei continui vertici per trovare una sintesi alle diverse visioni politiche sembra lontanissimo. Mentre il leader pentastellato parla, Salvini è già rientrato al Viminale, dove con il ministro Fontana ha incontrato le comunità di recupero per i tossicodipendenti. E’ l’occasione giusta per lanciare un nuovo attacco agli alleati: “Sulla droga sarei pronto a mandare a casa il governo – avvisa – Io con i Cinque Stelle su questo sì che ci litigo, perché qualcuno vorrebbe che lo Stato diventasse spacciatore”. Ma anche Roma è lo spunto per una nuova frecciatina: “Prendo atto del fatto che Virginia Raggi è indagata da anni ed è al suo posto. Vuol dire che ci sono colpe di serie A e colpe di serie B, A casa mia inchiesta vale inchiesta sennò smettiamo di fare politica. I processi si fanno in tribunale, sennò torniamo indietro e non andiamo avanti”.
Non che il dibattito nel Cdm – cui erano assenti solo Tria e Moavero, all’estero per impegni istituzionali – non sia stato teso. Il primo a prendere la parola è il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte che ribadisce la sua volontà di revocare l’incarico a Siri “per opportunità politica”, spiegando che “non possiamo disperdere il patrimonio di fiducia dei cittadini”. Siri, è il ragionamento di Conte, ha agito per difendere interessi particolari e per questo – al di là dell’aspetto giuridico della vicenda, è inopportuno che resti al suo posto. A prendere le parti della difesa un altro avvocato, Giulia Bongiorno: si è innocenti fino a prova contraria, ricorda, i processi non si fanno sui giornali o non si va da nessuna parte. Non può esserci un automatismo tra indagini e colpevolezza, sostiene la ministra della Pa, è un principio di civiltà giuridica che vale per tutti. Tocca poi a Di Maio e a Salvini parlare, esponendo ancora una volta le proprie posizioni. Ma Conte la sua decisione l’ha già presa e chiede ai presenti se ha ancora la loro fiducia. E’ un passaggio fondamentale, il presidente del Consiglio vuole sapere se la maggioranza è in grado di andare avanti, se al di là delle posizioni di partito ha ancora il sostegno di tutti. E ‘piena fiducia’ gli viene confermata dalla Lega, che decide di non rompere in un momento così delicato. “Non ho ceduto, la scelta spettava al presidente del consiglio Conte e al presidente della Repubblica”, spiega Salvini a Otto e mezzo: “Io non faccio saltare un governo, con gli italiani che chiedono il taglio delle tasse”. Certo, nota il Capitano, “io mi fido del premier, ma devo dire che sulla Tav e sul caso Siri ha preso le parti del M5s, che hanno avuto un atteggiamento di sinistra, come in altri casi. Poi la pace fiscale l’abbiamo fatta perché c’è un governo, gli sbarchi li abbiamo fermati perché c’è un governo, così come abbiamo fatto la quota 100”. Si va avanti, “per 4 anni”, assicura Di Maio, di sicuro almeno fino alle Europee e poi si vedrà, si chiacchiera nei corridoi del Parlamento. Di certo se “il caso Siri è chiuso”, come sentenzia il leader pentastellato, i malumori nell’esecutivo rimangono. Dalla flat tax all’autonomia, dalla riforma della giustizia all’ apertura dei cantieri, passando per sviluppo e infrastrutture, sono molti i dossier su cui la Lega minaccia battaglia: basta chiacchiere, basta coi no e i rinvii, ammonisce. E terreno di scontro potrebbe essere già il decreto sblocca cantieri, in esame in commissione al Senato: un tema delicatissimo su cui il Carroccio intende puntare.
(LA PRESSE)