Banche, continua il calo di Npl: via crucis delle imprese per i prestiti

Il quadro è descritto in uno studio della Fabi che mette anche in luce che crescono i coefficienti patrimoniali dei singoli istituti e dal 2016 al 2018 sono migliorati solidità, patrimonio e fondi propri

Marco Merlini / LaPresse

MILANO – Le sofferenze non sono più un problema per le banche italiane che in tre anni hanno ceduto crediti deteriorati per 123 miliardi di euro. Ma l’eccesso di garanzie richieste rappresenta un ostacolo per le imprese alla ricerca di credito. Spesso impegnate in una vera e propria via crucis per ottenere il risultato. Tanto è vero che in un anno lo stock di prestiti è diminuito di 45 miliardi, pari a una riduzione del 6,37%. A giugno 2019 il totale dei crediti si attestava a 658 miliardi contro i 703 miliardi di giugno 2018.

Le stime della Fabi

Il quadro è descritto in uno studio della Fabi che mette anche in luce che crescono i coefficienti patrimoniali dei singoli istituti e dal 2016 al 2018 sono migliorati solidità, patrimonio e fondi propri.

Il bilancio del settore bancario

E a commento di questi dati il segretario generale Fabi Lando Maria Sileoni traccia un bilancio ma chiede precisi impegni. “Il settore bancario italiano, che è definitivamente uscito dal tunnel della crisi, deve ora impegnarsi per sostenere le economie dei territori rendendo più facile, snello ed efficace l’accesso al credito. Oggi rallentato da un eccesso di garanzie richieste visto che talvolta, per un prestito si arrivano a chiedere garanzie fino a cinque volte superiori l’importo iniziale. Non vengono quasi mai finanziate le idee degli imprenditori, così come invece avviene nelle banche degli Stati Uniti e dei paesi anglosassoni”.

La crescita dei coefficienti patrimoniali

Serve quindi uno scatto in più, sottolinea Sileoni: “Il ritorno costante agli utili, la crescita dei coefficienti patrimoniali e la svendita dei crediti deteriorati hanno ripulito i bilanci e riposizionato il settore tra i migliori in Europa. Ora le banche non hanno più alibi per non dover cambiare attraverso un nuovo modello di banca che sia concretamente più attento ai territori e alle economie locali”.

(LaPresse/di Paolo Tavella)

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