Berlusconi ‘scarica’ l’amico Dell’Utri: nel processo sulla trattativa Stato-mafia sceglie di non parlare

Su consiglio dei suoi legali, gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere

Pool / LaPresse in foto Silvio Berlusconi

Il tempo di sedersi al banco dei testimoni, di dire di non voler essere ripreso dalle telecamere e di avvalersi della facoltà di non rispondere: per Silvio Berlusconi, citato dai legali di Marcello Dell’Utri, la sua comparsa nel processo d’appello per la trattativa ‘Stato-mafia’ è durata pochissimi minuti.

“Su consiglio” dei suoi legali, come ha spiegato al presidente, l’ex premier ha preferito il silenzio,possibilità che gli è stata consentita perché indagato in un procedimento connesso seguito dalla procura della Repubblica di Firenze (quello sulle stragi di firenze).

Dell’Utri voleva l’aiuto del suo storico amico, ma il sostegno in aula non è arrivato. I difensori dell’imputato avevano proposto alla Corte di acquisire una dichiarazioni del cavaliere rilasciate a Rai news nella quale affermava che il suo governo “non aveva mai ricevuto alcuna minaccia dalla mafia”. I giudici hanno risposto negativamente all’istanza.

Dell’Utri non era in aula: si trova a Milano, ristretto ai domiciliari per scontare la condanna ‘definitiva’ per concorso esterno in associazione mafiosa. Le parole di Berlusconi servivano a smentire le minacce che avrebbe ricevuto nel 1994 per ricevere alleggerimento del carcere duro.

La posizione dell’ex premier è legata a quella dell’amico in relazione ai suoi pagamenti ai boss siciliani per proteggere la propria famiglia e le infrastrutture televisive presenti in Sicilia, un versare il pizzo iniziato negli anni Settanta, secondo l’Antimafia, durato fino al 1994.

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