ROMA – L’accordo sull’Ilva slitta alla prossima settimana. Dopo giorni di voci su una possibile intesa entro venerdì, da più livelli (compreso il governo) arriva la conferma dello slittamento della firma del nuovo contratto di affitto e acquisizione per il polo siderurgico tarantino. Nessun problema però. Da fonti vicine al dossier si spiega come il rinvio sia dovuto solo a motivi pratici e non di merito. Con quasi tutti i dettagli praticamente definiti. Tutto dovrà comunque essere ratificato entro il 6 marzo, data dell’udienza fissata in Tribunale a Milano. Se si arriverà ad un documento condiviso, le parti revocheranno i rispettivi ricorsi con cui hanno dato il via al contenzioso civile. In caso contrario, ai commissari e al gruppo franco-indiano non verranno concesse ulteriori proroghe: le parti dovranno discutere le rispettive posizioni e poi il giudice andrà a sentenza.
La situazione
Uno scenario però, che dopo mesi di trattative serrate sembra lontano. Anche se rimane da capire in quale forma sarà inserita l’immunità penale e come gestire gli eventuali esuberi. Su questo fronte ci sarebbe un impegno di massima a utilizzare la cassa integrazione ordinaria per i quattro anni (fino al 2023). In cui si realizzeranno gli investimenti del nuovo piano industriale. Per la partecipazione pubblica nella nascente ‘Green Co’ ci sarà sicuramente Invitalia – e forse Cassa depositi e prestiti -. Con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha parlato di voler rilanciare l’Ilva “con una partnership tra pubblico e privato per creare un campione della siderurgia a basse emissioni a livello europeo”.
Il fronte inquinamento
Proprio sul fronte dell’inquinamento, intanto, arriva l’ordinanza ultimatum del sindaco di Taranto. Che chiede all’azienda e all’Ilva in As di eliminare gli eventuali elementi di criticità e le relative anomalie per i fenomeni emissivi “entro 30 giorni”. E qualora non siano state risolti i problemi riscontrati, si ordina con un provvedimenti datato 27 febbraio “di avviare e portare a completamento le procedure di sospensione/fermata delle attività non oltre i 60 giorni” dall’ordinanza.
Stop agli impianti
Insomma stop entro due mesi ad altiforni, cokerie, agglomerazione, acciaierie, i cuori pulsanti della più grande acciaieria europea. Rinaldo Melucci ha scritto anche al premier Giuseppe Conte, annunciando “imminenti iniziative amministrative volte ad obbligare il gestore ad una condotta più appropriata”. O, in alternativa, ci sarà “il fermo dell’attività produttiva del sito di Taranto”. L’accusa ai gestori degli impianti pugliesi è quella di “una definitiva noncuranza nei confronti della salute dei tarantini, della sicurezza dei lavoratori, di ogni utile prospettiva per il sistema economico locale”.
(LaPresse/di Alessandro Banfo)