TORINO – Lo hanno etichettato come il leghista della via media, Luca Zaia. 52 anni, presidente della Regione Veneto, poliglotta (parla francese, inglese e spagnolo), è il politico più in voga del momento. Quasi più del premier Giuseppe Conte e più, soprattutto, del suo capo politico, Matteo Salvini. “Il nostro segretario è Matteo”, ha sussurrato dopo che il filosofo Massimo Cacciari si era lanciato in una sorta di endorsement. “Ho preso un impegno, ho lasciato il ministero dell’Agricoltura per venire in Veneto. Non ho altre aspettative e altre mire”, ha precisato. Aggiungendo alla sottolineatura una citazione: “Un giorno hanno chiesto a Carducci di fare un tema su sua madre, lui era bambino e ha scritto ‘mia madre è mia madre’. Il segretario è il segretario, punto e basta. Non ci sono altri ragionamenti, da parte mia assolutamente no”.
Un occhio ai sondaggi
E se non sarà proprio così, pazienza. Il tempo di solito asciuga le parole, se sarà destino che Zaia salti alla guida del Carroccio succederà ‘a prescindere’, come era solito argomentare Totò. In queste settimane convulse di pandemia da coronavirus, il Governatore ha usato le riaperture a elastico: prima ha spinto per tornare alla vita (quasi) normale il più in fretta possibile, poi ha tirato il freno a mano evidenziando che l’emergenza non è alle spalle (“nei prossimi 10 giorni ci giochiamo il futuro, dixit). Un atteggiamento che è stato definito democristiano però anche di buonsenso. Morale? Nella hit parade del gradimento è schizzato all’insù: “I sondaggi fatti in un momento particolare non hanno valore politico. Prova ne sia che tutti gli attori del coronavirus hanno sondaggi alti. Io non voglio andare da nessuna parte”. Meno che mai a Roma dova qualcuno lo vorrebbe addirittura premier, “per carità, un incubo”, perché “io sto in Veneto”.
La Fase 2 in Veneto
Zaia va d’accordo con Giancarlo Giorgetti, il ‘maitre à penser’ della Lega, anche se in realtà è abile nel mantenere buoni rapporti con tutti. In particolare, ha imparato l’arte di non oscurare chi sta sotto i riflettori, da Bossi a Maroni, fino a Salvini, senza rinunciare a muoversi per conto proprio. Sempre un passo indietro ma sempre un passo avanti nel prendere iniziative. La gestione dell’emergenza pandemia ne è la dimostrazione lampante: “Oggi è un po’ liberi tutti”, ha raccontato nel corso delle sue interminabili conferenze stampa. Un po’, non tantissimo. Domocristianamente un po’.
(LaPresse/di Vittorio Oreggia)