Camorra e carburanti, 37 arresti

San Cipriano d'Aversa. Nell’operazione oltre cento indagati: sono del posto, Caserta, Mondragone, Pastorano e San Marco Evangelista. L’investimento dei Casalesi nel petrolio. Assoldarono killer per uccidere Diana

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Il contrabbando di carburanti, il clan dei Casalesi e la mafia tarantina: sono i temi delle due inchieste che ieri mattina hanno fatto scattare 45 misure cautelari (26 in carcere, 11 ai domiciliari, 6 destinatari di divieto di dimora e due misure interdittive per altrettanti militari) e messo sotto indagine, a piede libero, 71 persone. Rispondono, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise ed Iva sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita.

I casertani
Tra gli arrestati ci sono il saciprianese Raffaele Diana, 55enne, e i figli Vincenzo e Giuseppe, di 32 e 24 anni: i tre sono finiti in carcere su ordine del gip Ida Iura di Potenza. Divieto di dimora invece il provvedimento disposto per il 35enne Salvatore Di Puorto, anche lui di San Cipriano d’Aversa. Figurano nell’elenco degli indagati, ma senza misure restrittive, pure Antonio De Martino, 55enne di Mondragone, Tommaso Di Rosa, 74enne di Curti, Bruno Mario Diana, 86enne di S. Cipriano, Flavio Diana, 46enne di Casapesenna, Francesco e Giovanni Friozzi, di 67 e 39 anni, entrambi di Pastorano, Antonio e Michele Gallo, di 42 e 79 anni, residenti a S. Marco Evangelista, Fulvio e Salvatore Antonio Leonardo, di 39 e 54 anni, originari di Pietramelara, Antimo Menale, 82enne di Trentola Ducenta, i sammaritani Mariateresa Moschese, 44enne, e Luigi Papale, 64enne, e Francesco Pascarella, 49enne di Maddaloni.

Le ingerenza dei clan
Il blitz è arrivato dopo quattordici mesi di intensa attività investigativa condotta dai finanzieri e dai carabinieri di Salerno e di Taranto. Un lavoro complesso, basato su intercettazioni, appostamenti e riscontri documentali, che avrebbe fatto emergere le ingerenze della criminalità organizzata casertana e pugliese nel mercato illecito degli idrocarburi nella zona di Vallo di Diano e del Tarantino.
L’azione dei militari dell’Arma e delle fiamme gialle ha prodotto due filoni di inchiesta: quello pugliese ha puntato i riflettori sul clan Cicala, l’indagine di Potenza, invece, su un’ipotetica organizzazione criminale che attraverso Raffaele Diana avrebbe favorito gli interessi del clan dei Casalesi.

La truffa
del carburate agricolo

Le due gang, seppur con strutture diverse, erano concentrate sullo stesso business, alternando fasi di scontro e di collaborazione. Acquistavano ingenti quantità di benzina e gasoli come idrocarburi per l’agricoltura, e quindi a costi ribassarti e Iva al minimo, per poi diffonderli nella rete delle cosiddette ‘pompe bianche’ (distributori indipendenti) spacciando la merce come comune carburante da piazzare a prezzi di mercato. Un meccanismo che, sostengono le Dda di Lecce e Potenza, ha determinato per le due organizzazioni guadagni enormi. Secondo gli investigatori la truffa era in grado di fruttare circa 30 milioni di euro all’anno.

Il patto con Petrullo
I Diana, questa la tesi degli investigatori, erano entrati nel settore dei carburanti grazie ad un patto occulto stretto con la holding che fa riferimento all’imprenditore Massimo Petrullo, 46enne di Polla, in provincia di Salerno: i sancipiranesi avrebbero iniettato nella società ingenti capitali (le Procura è convinta che si tratti di soldi di provenienza illecita) fino a rendere marginale la stessa posizione di Petrullo, situazione che stava per sfociare in un vero e proprio scontro armato, portando il salernitano ad allearsi con l’ala tarantina per riconquistare il proprio spazio nel commercio. Ma l’esigenza di tutelare il business ha evitato che si arrivasse alla guerra tra bande.

Le liste di agricoltori
Gli indagati, per aggirare i controlli, facevano risultare il carburante per uso agricolo venduto, solo virtualmente, ad imprenditori del settore che rimanevano però ignari del marchingegno messo in atto. Come ci riuscivano? I due sodalizi, attraverso meccanismi informatici, avrebbero ingannato il sistema telematico dell’Agenzia delle entrate, che non era in grado di consegnare la fattura elettronica al fittizio cliente-agricoltore apparente destinatario del carburante che, quindi, rimaneva inconsapevole della finta operazione di vendita effettuata utilizzando il suo nominativo.
A fornire al gruppo casertano gli elenchi di agricoltori a cui destinare, solo su carta, il carburante, sarebbe stato il clan pugliese.
Il prodotto usciva dai depositi fiscali scortato da documenti che falsamente attestavano il trasporto di gasolio agricolo. In caso di controllo da parte delle forze di polizia, l’autista azionava un apposito congegno elettromagnetico in grado di attivare una pompa che iniettava il colorante (il carburante agricolo ha una colorazione diversa da quella del carburante normalmente usato per autotrazione), allineando, così, il prodotto ai documenti esibiti.

I guadagni incassati, afferma l’Antimafia, venivano reimpiegati nell’acquisizione di beni immobili e quote societarie, realizzando un’economia illecita “circolare”, che avrebbe permesso alla famiglia Diana di affermarsi gradualmente come player commerciale di riferimento nella compravendita illegale di idrocarburi nel Vallo di Diano.
I gip di Lecce e Potenza, oltre gli arresti, hanno disposto anche il sequestro preventivo delle società Carburanti Petroli S.r.l., Dipiemme Petroli S.r.l., Tor Petroli S.r.l., Autotony S.r.l. ed altri 8 compendi aziendali oltre a denaro contante, veicoli, camion, autocisterne, immobili, beni di pertinenza dei singoli indagati, fino alla concorrenza di un ammontare complessivo di circa 50 milioni di euro. Vincenzo Diana risulta essere tra gli affidatari di Agrorinasce di uno dei lotti della Balzana, bene confiscato a Santa Maria La Fossa.

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