CASAL DI PRINCIPE – Rosa Amato al Nicola Schiavone pentito aveva chiesto di dire la verità, di indicare ai magistrati chi avesse ucciso il fratello Carlo. La collaborazione con la giustizia del figlio di Francesco Sandokan le era apparsa un’occasione irripetibile: rotto il vincolo di omertà che lo legava al clan, da protagonista (indiretto) di quel maledetto 19 marzo 1999, avrebbe potuto mettere la parola fine ad una tragedia rimasta per troppi anni senza colpevoli. E nicola Schiavone non si è sottratto dal parlare di quell’assassinio. Lo ha fatto il 27 luglio 2018. Ma ha detto poco. Perché del delitto Amato, ha raccontato ai pm, ha preferito ‘non sapere’. “Dite che è inverosimile che non abbia mai approfondito con i miei fratelli, piuttosto che con le persone a me vicine, tale questione, pur essendo l’omicidio di Carlo assolutamente centrale nel mio percorso di vita, avendo nel prosieguo influenzato le mie scelte. Devo confermare – ha dichiarato Schiavone – che ho effettivamente pensato che uno degli autori dell’omicidio fosse Paolo Panaro, ma di tanto, pure a fronte di tutte le implicazioni che si possono intuire, non ne ho mai parlato né con lui né con suo fratello, Nicola, né con il mio, Walter. Per quanto appaia inverosimile le sostanziali divergenze caratteriali – ha proseguito il pentito – nonostante fossimo vicini d’età non mi hanno mai consentito di avere una comunione d’intenti con lui, così come nel tempo ho avuto con il più piccolo Carmine e gli altri ancora più piccoli”. Il primogenito di Sandokan ai pm ha confidato di non aver mai approvato le scelte di Walter. “Ma il mio atteggiamento è sempre stato quello di protezione nei suoi confronti e forse – ha chiarito – anche per questo, temendo una verità difficile da accettare, non ho mai approfondito l’argomento (l’omicidio Amato, ndr). Mi sono fatto bastare l’averlo visto distante rispetto al punto in cui si innescò la rissa per ritenere la sua estraneità. Nel prosieguo non mi sono fatto e non gli ho fatto domande”.
E così la speranza di Rosa Amato di sentirsi dire dal figlio pentito di Sandokan cosa fosse accaduto il 19 marzo di 22 anni fa, si è volatilizzata, messa fuori gioco dal ‘non so’, dalla scelta di non “approfondire” per timore di conoscere una verità spiacevole. Resta il sangue versato al Disco Club: gli studenti del liceo Amaldi di S. Maria Capua Vetere facevano festa, erano alle prese con il loro Mak P e una lite tra due comitive lo trasformò in tragedia. Carlo venne ucciso con una coltellata in uno stanzino del locale.
La sua storia si intreccia con quella altrettanto tragica del 23enne Michele Della Gatta: pochi giorni dopo l’omicidio in discoteca iniziò a circolare l’ipotesi che avesse avuto un ruolo nell’uccisione di Amato. E il 5 giugno dello stesso anno anche lui venne ammazzato: il corpo fu trovato in una stradina a Baia Verde, località di Castelvolturo, a circa cento metri da una macchina dove i sicari abbandonarono una pistola calibro 7,65 e una tanica di benzina.
Per la Dda ad ordinare di eliminarlo furono Antonio Iovine e Michele Zagaria. Gli esecutori materiali, invece, sarebbero stati Vincenzo Schiavone ‘o petillo e Vincenzo Schiavone cupertone (deceduto).
La Procura distrettuale è convinta che Della Gatta venne assassinato per proteggere i figli di Schiavone. Il gotha del clan temeva che il 23enne in caso di arresto iniziasse subito a collaborare con la giustizia. Un pentimento che avrebbe rappresentato un rischio per Walter e Nicola, presenti la sera del 19 marzo 1999 al Disco Club. Della Gatta poteva tirarli in ballo, accusarli.
Ma la tesi della Dda di Napoli secondo il primogenito di Sandokan è sbagliata. “Escludo categoricamente che l’assassinio Della Gatta sia la risposta dell’organizzazione alla morte di Carlo. Michele Della Gatta durante l’azione omicidiaria si trovava con me, assolutamente defilato rispetto al luogo in cui si è svolta l’azione e con me si è allontanato, attraverso l’uscita d’emergenza, ove rinvenimmo in fin di vita l’Amato”. Quello di accostarlo all’omicidio nel Disco Club secondo Schiavone è stato “un pretesto di cui si è servito Antonio Iovine per celare le motivazioni reali che sono legate invece ad un alterco intercorso tra Della Gatta e il figlio di Edda Fichele e Ivo Capone”. “Entrambi – ha dichiarato Schiavone – erano molto legati allo Iovine perché la madre del primo e cioè Edda lo ospitava nella sua abitazione o comunque gli forniva appoggio all’occorrenza. Poiché lo Iovine aveva ritenuto che l’atteggiamento del Della Gatta che era venuto alle mani con i due giovani predetti, costituiva un affronto verso di lui ne decretò la morte”.
Della Gatta ‘capro espiatorio’
Se l’omicidio di Carlo Amato è tornato ad occupare le pagine della cronaca casertana, è perché i pm Vincenzo Ranieri, Simona Belluccio e Luigi Landolfi sono riusciti a far luce sul delitto di Michele Della Gatta (nella foto). I due fatti di sangue (datati 1999) per l’Antimafia sono strettamente collegati. Il clan dei Casalesi, sostiene la Procura di Napoli, decise di eliminare Della Gatta per tutelare Nicola e Walter, figli del capoclan Francesco Sandokan Schiavone, e Paolo Panaro, fratello di Nicola, ora collaboratore di giustizia, tutti per gli inquirenti coinvolti nell’assassinio di Amato.
Il papà di Carlo, Salvatore Amato, adesso pentito, ma all’epoca esponente della criminalità, voleva vendetta. E la mafia dell’Agro aversano gliel’avrebbe servita decidendo di assassinare Della Gatta: a lui venne addossata la responsabilità dell’omicidio del figlio.
Il giovane, ammazzato a Castelvolturno il 5 giugno 1999, era il capro espiatorio perfetto: non aveva un ruolo di spicco all’interno del clan, ammazzarlo non avrebbe scombussolato gli equilibri dell’organizzazione. E il suo operato da affiliato non convinceva più neppure Antonio Iovine. E’ in questo contesto, dice a Dda, che venne decretata la sua morte. Il clan lo uccise prima che gli investigatori gli potessero mettere le manette: perché la Procura di S. Maria Capua Vetere aveva chiesto l’arresto di Della Gatta ritenendolo responsabile in concorso con altre persone, non identificate, proprio dell’assassinio di Carlo Amato durante il Mak P del liceo Amaldi organizzato da Walter Schiavone. Ad agosto del 1999, l’ufficio gip del Tribunale, con il principale indiziato passato a miglior vita, emise solo due misure restrittive nei confronti di altrettanti giovani “per reati connessi all’accaduto, ma non responsabili dell’omicidio”. Nelle carte di quell’inchiesta venne tracciato dagli inquirenti il ruolo che Della Gatta avrebbe avuto nel delitto Amato: ci fu una prima zuffa nei pressi della consolle del dj, poi un tentativo, non riuscito di aggredire Amato, e successivamente i calci e pugni andati a segno, per arrivare all’accoltellamento nello stanzino-guardaroba del Disco Club. Bisognava individuare i correi di Della Gatta. E probabilmente se gli investigatori fossero riusciti ad arrestarlo, a svelare i loro nomi sarebbe stato proprio Michele. Ma non ci riuscirono. Arrivò prima il clan.
Iovine: “Il destino di Michele era segnato”
Cinque mesi dopo aver ascoltato Nicola Schiavone sugli omicidi di Carlo Amato e Michele Della Gatta, la Dda ha interrogato anche il boss sanciprianese Antonio Iovine ‘o ninno (pentito dal 2014). E le sue dichiarazioni, a differenza di quelle rese dal primogenito di Sandokan, hanno confermato la tesi della Dda: i due delitti sono collegati (circostanza che il figlio di Sandokan ha escluso “categoricamente”). Della Gatta, per il suo comportamento “poco rispettoso e rissoso e non idoneo alla vita criminale – ha dichiarato Iovine – era già destinato a morire. Era un affiliato alle dipendenze di Nicola Panaro e Schiavone ‘o petillo.[…] Per il suo comportamento sia io che Michele Zagaria volevamo eliminarlo”. E il suo coinvolgimento nell’omicidio Amato diede la spinta definitiva ai boss ad ordinarne la morta. “Questa vicenda preoccupava molto anche me e Zagaria che, considerato il legame esistente in quel momento con Francesco Schiavone, eravamo certamente interessati a salvaguardare le sorti del figlio Walter. In considerazione di questo fatto e della circostanza che io e Zagaria premevamo per eliminare Della Gatta, il suo destino fu definitivamente segnato, anche perché proseguiva a non rispettare le regole”.
Il sanciprianese non ha negato l’aver meditato ancor prima del caso Amato la decisione di ucciderlo. E ha motivato la sua intenzione elencando alcuni atteggiamenti che avrebbero creato problemi all’organizzazione: “Ebbe una discussione con il figlio e il nipote di Elda Fichele, Pietro e Ivo se non sbaglio, presso la cui abitazione ho trascorso anche una parte della mia latitanza”. Si tratta dell’episodio che Schiavone aveva indicato alla Dda come unica causa dell’assassinio di Della Gatta. “L’ultimo richiamo a Michele fu a causa di una rapina che aveva commesso a Giugliano, ai danni di persone legate ai Mallardo, fatto avvenuto dopo l’omicidio di Carlo Amato. Io e Zagaria avevamo deciso di eliminarlo ritenendolo inaffidabile, ma gli Schiavone, faccio riferimento a Nicola Panaro, prendevano tempo perché avevano fiducia in lui”. Il tragico episodio nel Disco Club di S. Maria Capua Vetere spazzò via ogni dubbio. Michele Della Gatta doveva essere ucciso: “Ricordo – ha aggiunto Iovine – che dopo la commissione dell’omicidio di Carlo, Nicola Panaro, a mio avviso per salvaguardare la posizione del fratello Paolo e del figlio di Francesco Schiavone, attribuì la responsabilità del delitto proprio a Della Gatta”.