BRUXELLES – Continua la valutazione del piano ungherese. Non si sa per quanto tempo, né come sta andando. La risposta della Commissione europea è sempre la stessa. D’altronde il regolamento per la valutazione dei Recovery e Facility plan parla chiaro: “Lo Stato membro interessato e la Commissione possono convenire di prorogare il termine per la valutazione di un periodo ragionevole, se necessario”. Nessun limite di tempo, dunque, e la necessità di trovare un accordo comune. Oggi una portavoce dell’esecutivo Ue ha parlato di “discussioni costruttive” ma la questione potrebbe andare per le lunghe. Diversamente dalle altre situazioni. Sul piano della Polonia vi è la data indicativa del primo agosto, quando scadono i termini della proroga chiesta dallo stesso governo di Varsavia. Se non vi saranno ulteriori richieste di proroghe e se la Commissione avrà ricevuto le rassicurazioni necessarie, in particolare sui controlli interni, fra una settimana il piano polacco potrebbe vedere il via libera. Sull’Ungheria invece non si riesce a trovare un accordo nemmeno sui tempi di estensione, necessari a fornire i nuovi elementi di valutazione o forse a tenere aperta la trattativa sugli altri fronti, a cominciare da quello dei diritti.
Oggi il premier ungherese, Victor Orban, è tornato ad attaccare apertamente le istituzioni europee. In questa situazione ci sono due opzioni: cedere o meno, ha detto. E “poiché si tratta dei nostri figli, si tratta del futuro dei nostri figli, non dobbiamo arrenderci”, ha detto parlando alla radio di stato Kossuth Radio. Orban ha poi lanciato il suo appello al popolo, l’unico, a suo dire, in grado di fermare i “burocrati” di Bruxelles. “Abbiamo bisogno che ogni ungherese partecipi al referendum. Se c’è il sostegno popolare, allora possiamo fermare Bruxelles, proprio come l’Ungheria ha fermato Bruxelles con il referendum sulle quote dei migranti”. Insomma, l’intenzione è usare lo scontro ideologico con Bruxelles in chiave elettorale, o populista, direbbe qualcuno.
“Ci stanno ricattando e minacciando; avviano procedure di infrazione, ritardano il pagamento dei fondi che meritiamo”, ha affermato Orban che ha sottolineato: Bruxelles può ritardare i pagamenti, ma prima o poi dovrà pagare.
Intanto, per evitare di avere ricadute in termini di consensi a poco meno di un anno dalle elezioni, il governo ha deciso di avviare i programmi che sono già stati approvati da Bruxelles, non specificando bene a quali progetti si riferisse, finanziandoli con il bilancio nazionale, in attesa dell’arrivo dei fondi dalla Commissione europea.
Infine, il reiterato attacco sull’imposizione ideologica dell’Europa dell’Ovest. “La Commissione europea ritiene che le scuole e l’istruzione pubblica dovrebbero avere la priorità sui diritti dei genitori” e Bruxelles vuole consentire agli attivisti Lgbtq di entrare nelle scuole. A loro avviso, ha spiegato il premier, non si tratta di educazione dei bambini, ma di estensione degli “ideali europei di libertà. “Secondo il mainstream occidentale e liberale, la vera libertà può essere raggiunta solo liberandosi della propria sessualità ma gli ungheresi non la pensano così”, ha spiegato. Gli ungheresi credono che ci siano adulti e bambini. Mentre gli adulti sono liberi di fare ciò che desiderano, entro i limiti della legge, i bambini sono una “questione diversa”, è stata la sintesi del suo intervento in radio.
Affermazioni che continuano a suscitare reazioni in tutta Europa e accendono anche il dibattito interno. Domani mattina una delegazione di parlamentari nazionali ed europei dei Socialisti e Democratici, fra cui Alessandro Zan e il capodelegazione Pd, Brando Benifei, sarà a Budapest per un incontro con le forze di opposizione per poi partecipare al Pride della capitale nel pomeriggio, marciando insieme al sindaco Karacsony, principale leader della coalizione alternativa a Orban.
Di Fabio Fantozzi