ROMA – Dovere dello Stato è fare in modo che la detenzione “non si tramuti in alcun caso in una sorta di macchia indelebile”. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sceglie parole di speranza, impegno e fiducia per parlare ai giovani detenuti nell’Istituto penale per minorenni di Nisida, piccola isola nel golfo di Napoli. La prospettiva che le istituzioni devono esser capaci di garantire, spiega il capo dello Stato, non può che passare per il “protagonismo sociale”. “E non a parole – chiosa Mattarella – Ma nei comportamenti dell’ordinamento con i suoi interventi, con le sue regole, procedure e iniziative, con il comportamento sociale delle altre persone”. Gli fa eco la ministra della Giustizia Marta Cartabia che, durante la visita, evidenzia come sia “un dovere imperativo delle istituzioni penitenziarie infondere e diffondere speranza a tutte le persone detenute. Specie nei più giovani”.
Ma il concetto di diritto del detenuto stride pensando al caso del bimbo partorito nell’infermeria del carcere di Rebibbia, a Roma, da una 23enne aiutata solo da una compagna di cella. La vicenda risale a qualche settimana fa e solo di recente è salita agli onori delle cronache: la giovane mamma è una borseggiatrice, rom, arrestata, finita in cella quando era già in avanzato stato di gravidanza e lasciata lì, anche dopo un episodio di emorragia, per il quale era stata controllata in ospedale e rimandate in carcere. “E’ una vergogna – commenta lapidario Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale, contattato da LaPresse -. Come istituzioni siamo tutti responsabili, perché non si può far nascere una persona in situazioni di detenzione”.
Anche la sindaca di Roma Virginia Raggi critica il “grave” episodio, mentre il ministero della giustizia avvia una serie di verifiche.
La legge prevede che una detenuta partoriente venga trasferita in ospedale al momento della nascita del figlio e secondo le regole europee se un bambino nasce all’interno di un istituto, le autorità devono fornire l’assistenza e le infrastrutture necessarie. Ma al piccolo nato a Rebibbia, e a sua madre, non sono state fornite ne’ l’una, ne’ l’altra opzione.
LaPresse