ROMA – Squadra che vince non si cambia, e se il binomio Mattarella-Draghi è di difficile realizzazione mister whatever it takes “potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale”. Parola di Giancarlo Giorgetti, che come un tornado, irrompe – parlando con Bruno Vespa nel libro ‘Perché Mussolini rovinò l’Italia’ – nella giostra dell’elezione del presidente della Repubblica. E mette un punto: Draghi deve rimanere dove è. “Già nell’autunno del 2020 le dissi – spiega il ministro e l’eminenza grigia della Lega – che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non è possibile, va bene Draghi” che “potrebbe guidare il convoglio anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto”.
Uno scenario, già evocato qualche mese fa – guarda caso – da Renato Brunetta dalle pagine del Foglio, tuttavia non previsto dalla nostra Costituzione. E Mario Draghi, uomo delle istituzioni e molto rispettoso dei ‘regolamenti’ della Carta, di certo non accetterebbe un incarico che andrebbe oltre i doveri che la Costituzione prevede per il Capo dello Stato. Senza contare che l’amicizia e la vicinanza all’attuale inquilino del Colle, già basterebbe per capire come potrebbe muoversi il premier di fronte a questa scelta.
I due, uniti da un filo diretto, quasi quotidiano, hanno in comune una interpretazione molto rigida dell’ordinamento italiano, con Mattarella che ha sempre dato provo di una lettura più restrittiva anche dei suoi predecessori. Tutte cose di cui Giorgetti è consapevole, ecco perché le sue parole consegnate al conduttore di Porta a porta, hanno il sapore di una provocazione, che basta semplicemente tradurre.
Il titolare del Mise, dunque, esce allo scoperto e si posiziona tra quelli che Draghi vorrebbero tenerlo alla guida del governo, per ora fino al 2023, quando il Paese sarà chiamato a rinnovare la legislatura. E per quanto riguarda invece il padrone di casa del palazzo dei Papi, il leghista non intende abbandonare la speranza che Mattarella accetti il bis, chiudendo il cerchio e mettendo fine alla disputa su un nome, quello di Draghi – si fa presente – che non è ancora in lizza.
Un posizionamento che certamente non si sposa con la linea dettata da Matteo Salvini, che vedrebbe bene l’ex capo della Bce al Quirinale, mentre contemporaneamente giura fedeltà e lealtà a Silvio Berlusconi, come candidato di bandiera. Insomma le due anime del Carroccio ancora una volta hanno visioni diverse, spesso opposte. Giorgetti, confida una fonte parlamentare, “sa interpretare anche i sentimenti dei territori. Sentimenti che oggi ci dicono che si è formato un partito dei sindaci e dei governatori che, sottotraccia, spinge per il binomio Mattarella-Draghi”.
“L’intervista di Giorgetti sfiora il tema di Draghi al Quirinale ma questo sembra essere un diversivo rispetto al piatto principale che è la natura e la linea politica della Lega”, attacca Osvaldo Napoli di Coraggio Italia, facendo riferimento alle sterzate a destra, soprattutto in Ue, del leader del carroccio. Impietoso anche Giuseppe Conte che rimanda al mittente l’ipotesi avanzata dal ministro: “Quando si parla di semipresidenzialismo de facto penso a un Presidente che eserciti prerogative in modo così attivo da travalicare quelli che sono i confini di un ruolo di garanzia. E io non lo auspico per il sistema politico”.
Anche Matteo Renzi frena sul totonomi
“Il presidente della Repubblica non è una manovra cabalistica ma è un’operazione molto difficile perché va eletto da una maggioranza ampia e i nomi arrivano last minute”. E poi avverte: “Mario Draghi? Farebbe bene il presidente della Repubblica come sta facendo bene il presidente del Consiglio. Ma dato che la clonazione è proibita, credo che la cosa migliore sia non tirare per la giacchetta Draghi. Guardiamo al successo del G20: meno male che c’era Draghi e non Conte. Alla luce di questo, a tempo debito, a febbraio discuteremo”.
E in tutta questa giostra, Berlusconi sfodera la sua analisi: “Mi hanno proposto di essere il candidato del centrodestra, ma mi sembra inopportuno parlare del Quirinale quando è ancora in carica l’attuale presidente della Repubblica. Peraltro, non sarebbe un’elezione facile, perché il centrodestra non avrebbe da solo i voti necessari”. Attenzione però, è l’avviso ai naviganti, “ci sono 290 deputati e senatori usciti dai gruppi parlamentari originari. In tanti mi sono amici, ma, ripeto, è ancora tutto da vedere”. Insomma mai prendere sottogamba il ‘fattore B’.(LaPresse)