ROMA – Il piccolo Eitan entro il 12 dicembre rientrerà in Italia, lo ha deciso la Corte suprema israeliana in quanto “è l’Italia dove ha vissuto quasi tutta la sua vita e i Peleg non hanno fornito evidenze che facciano temere che il ritorno possa causargli danni psicologi o fisici” hanno motivato i giudici.
I legali: “Sentenza corretta”
Sentenza condivisa appieno dei legali dei Biran in Israele, Shmuel Moran e Avi Chimi, sottolineando che trattasi di una “sentenza legalmente, moralmente e umanamente corretta: è la fine di un capitolo sfortunato, dannoso e inutile per il piccolo Eitan. Ora potrà tornare dalla sua famiglia in Italia. Quanto alla famiglia Peleg, speriamo che – hanno aggiunto – dopo che tre tribunali in Israele e tre tribunali in Italia hanno stabilito che Eitan debba tornare alla sua casa e al suo luogo di residenza normale sapranno mettere fine alle battaglie legali e fermare la loro campagna mediatica aggressiva e diffamatoria in modo che forse, solo forse, si possa tornare a un percorso ottimista di riabilitazione e riconciliazione”.
L’attacco
Non sembra volersi arrendere, invece, la famiglia materna che contesta duramente lo Stato d’Israele “che ha rinunciato a un bimbo ebreo indifeso e a un cittadino israeliano senza che la sua voce venisse ascoltata, lasciandolo in terra straniera, lontano dalle sue radici, dalla sua amata famiglia e dal posto dove sono sepolti i suoi genitori e il fratello”.
Il riconoscimento
La stessa giudice Iris Ilotovich-Segal del tribunale della Famiglia di Tel Aviv lo scorso 25 ottobre aveva riconosciuto la “violazione della Convenzione dell’Aja da parte del nonno materno, che ha portato segretamente Eitan in Israele all’inizio di settembre” ordinando il rientro in Italia. ”Secondo la zia Aya Biran, infatti, l’Italia è “la residenza naturale dove il bimbo è cresciuto, l’italiano è la sua lingua madre ed è lì che si svolgeva il suo percorso riabilitativo dopo la tragedia, prima che venisse prelevato dal nonno”.
La battaglia persa
A loro difesa la famiglia Peleg aveva sempre respinto la tesi del rapimento, sostenendo, di contro “che i genitori del bimbo, ora deceduti, volevano riportarlo in Israele considerata la sua vera casa, dove trascorreva alcuni mesi all’anno tutti gli anni e c’era già un’abitazione ad attenderlo per quando si fossero ritrasferiti”. E così Boaz Ben Tzur e Ronen Daliahu i legali della famiglia Peleg avevano subito presentato ricorso alla corte distrettuale di Tel Aviv, poi puntualmente respinto. Stessa sorte toccata al ricorso presento dai nonni alla Corte Suprema ma, alla fine, la battaglia è andata miseramente persa, ricevendo l’ennesima porta in faccia. E’ stata così la stessa Corte ad ordinare il rientro in Italia del piccolo entro il 12 dicembre prossimo, dichiarando che “sulla custodia del bimbo sarà la magistratura italiana a decidere”.