ROMA – Il sì al 2×1000 è solo l’inizio. Il Movimento 5 Stelle si prepara per il grande salto, qualcuno dice verso la definitiva trasformazione in partito tradizionale, altri invece sostengono verso un futuro più strutturato. La verità, forse, sta nel mezzo, anche perché non mancano gli scontri interni, esattamente come accade oggi nelle altre forze politiche con forme più classiche, ma alcuni riti ricalcano i dogmi delle origini.
Per sciogliere i dubbi servirà il contributo di tutti, e in questo senso sarà importante che figure di primo piano come Luigi Di Maio proseguano nell’opera di ‘mediazione’. “Sul 2×1000 il 72% degli iscritti ha votato sì. È chiaro che in questo momento storico il Movimento, come tutte le altre forze politiche, stia affrontando questa nuova fase. La pandemia ha cambiato tanto, anche l’offerta politica”, rassicura l’ex capo politico.
Nel ministro degli Esteri sono in molti a vedere ancora un punto di riferimento, ecco perché non si sottrae alle domande più scomode. “L’azione politica che sta portando avanti Conte è soprattutto quella di dare una struttura”. Dunque, non è il momento di dare vita “al gioco ‘è finita la leadership’ di Giuseppe. Forse è la speranza di qualcuno”.
E mentre l’ex premier esulta per la stabilizzazione dei precari Cnr e rilancia il tema del superamento del tetto Isee per il Superbonus 110% (“La lotta per la tutela dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici per noi non è mai stata una questione di ‘bla bla bla’”), restano tanti i nodi da sciogliere. A partire dal capitolo delle alleanze, ancora maldigerite da un pezzo di truppe.
Ma Di Maio ha una convinzione: “I sondaggi dicono che ci sono quattro forze politiche in un fazzoletto di voti, credo che il M5S può ambire benissimo, sotto la guida di Conte, a diventare leader della coalizione”. Un test fondamentale sarà quello dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Conte ha fatto una parziale marcia indietro schierandosi con chi ritiene più utile e proficua la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, eppure resta in piedi, per dirla con le parole di Di Maio, il derby tra “chi vuole arrivare a scadenza naturale della legislatura e chi, invece, usa l’elezione del capo dello Stato andare a votare prima”.
Per le urne c’è tempo, intanto i Cinquestelle aspettano la risposta – dirimente – sul superamento di un altro tabù: il tetto dei due mandati. Con buona pace del co-fondatore, Beppe Grillo, che ha già ingoiato il boccone amaro del 2×1000 e sa che prima o dopo sarà costretto a farlo anche sull’altra regola aurea delle origini. Intanto, a stretto giro di posta i pentastellati dovranno scegliere il nuovo capogruppo alla Camera. Le elezioni sono fissate per il prossimo 9 dicembre, con deadline il 6 per la presentazione delle candidature.
L’unica ufficiale, al momento, è quella dell’uscente Davide Crippa, che oggi, assieme al resto del Direttivo – riferiscono fonti parlamentari -, ha ascoltato la versione dei fatti di Rocco Casalino sull’intervista pubblicata dal ‘Riformista’ la scorsa settimana, prontamente smentita dall’ex portavoce di Conte.
Infine, per evitare altre brutte sorprese, come accaduto in commissione Affari costituzionali per la proposta di legge per regolamentare le lobby (l’asse Pd-M5S-Leu è stato battuto dal centrodestra unito più Iv), il M5S ripristina la “rilevazione delle presenze” dei deputati nelle sedute formali con votazioni, tramite “firma sul registro cartaceo”. Un deterrente per non indebolire ulteriormente la fase di transizione dei Cinquestelle.(LaPresse)