ROMA – “Abbiamo dato mandato in Italia e in Europa di procedere con sanzioni, sostegni umanitari e militari, ma la pace va perseguita con ogni mezzo necessario”. È per questo che Matteo Salvini si mette “umanamente e politicamente a disposizione” e valuta la possibilità tecnico-logistica di recarsi in Ucraina nei prossimi giorni, “perché un conto è invocare la pace a distanza, un conto è esserci fisicamente in presenza”. Il leader della Lega, nel corso di una conferenza stampa alla Camera dove presenta una ricerca su quello che gli italiani pensano del conflitto tra Russia e Ucraina, illustra così il suo progetto: “Stiamo ragionando su un grande movimento per la pace a livello continentale che vada a frapporsi in Ucraina fra il popolo e le bombe. C’è un flusso in uscita di donne e bambini, e in entrata di combattenti. Ecco, a me piacerebbe che in entrata ci fosse anche un flusso di combattenti per la pace. È una ambizione eccessiva, un sogno? Sì, ma ogni giorno che passa è un passo in più verso il baratro”.
Salvini confessa di non averne parlato col partito, “è un mio pensiero”, ma “sarebbe bello che tanta gente ci credesse, e se qualcuno proponesse una grande marcia della pace che da Varsavia o da Budapest invadesse pacificamente un territorio sotto assedio avrebbe un valore diplomatico, simbolico e politico evidente”. Il senatore si dice quindi disposto a muoversi: “Se ci fosse un’invasione pacifica io sarei fra loro. Se siamo in 100 è un conto, se fossimo 100mila un altro. La buttiamo lì, vediamo. Magari se fosse direttamente il Santo Padre a lanciare una grande iniziativa di pace a livello continentale nessuno potrebbe accusarlo di secondi fini o di essere amico di Putin”.
Accuse mosse proprio a Salvini per l’atteggiamento tenuto dopo l’attacco della Russia. Il leader leghista tuttavia respinge al mittente le critiche evidenziando che “la situazione è chiara: qua c’è Putin che ha aggredito, e c’è Zelensky che sta resistendo e si sta difendendo. E noi siamo al fianco degli invasi”. Vicinanza da esprimere non solo a parole. “Magari la settimana prossima ci vedremo in collegamento non dalla Camera dei deputati di Roma ma direttamente dal territorio in conflitto – spiega –. Stiamo valutando la logistica”. Anche perché “non si tratta di andare a fare una passeggiata su un teatro di guerra. Non bisogna andare a cercarsi problemi”. Intanto resta in contatto con l’ambasciata italiana, l’Unicef, la Caritas, Sant’Egidio. E ieri, rivela, si è messaggiato sia col premier polacco Morawiecki che con quello ungherese Orban. “Se ritenessimo potesse servire dare un minuscolo contributo rischiando qualcosa, ad esempio a Leopoli dove si è trasferita l’ambasciata italiana, lo faremmo”, conclude indicando anche un’ipotetica data: “L’8 marzo è la festa della donna, ricordarla a Roma ha un senso, farlo in territorio di guerra facendo un appello al cessate il fuoco ne avrebbe un altro”.
Di Ronny Gasbarri