ROMA – Mosca gela le speranze di una pace a portata di mano. Il Cremlino ammette i “progressi positivi” nei colloqui effettuati a Istanbul con la delegazione ucraina ma, allo stesso tempo, precisa come non ci sta stata “nessuna svolta” e il lavoro da fare è ancora “molto, molto lungo”. Il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky sottolinea come Kiev abbia messo nero su bianco la “disponibilità” a soddisfare una serie di condizioni importanti “per costruire relazioni normali” come lo status di neutralità, la rinuncia alle armi nucleari e la non adesione alla Nato ma molti nodi restano ancora irrisolti.
Il principale è quello relativo al Donbass, dove Mosca ha annunciato di voler polarizzare la propria offensiva, e la Crimea. Su quest’ultima il commento del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, è lapidario. “Fa parte della Federazione Russa, di questo non si discute”, dice. Da Kiev la pensano diversamente. “Le questioni della Crimea e del Donbass saranno risolte definitivamente dopo che l’Ucraina ripristinerà la sua sovranità su di esse”, fa sapere il ministero degli Esteri. E lo stesso vale per i futuri accordi, qualora dovessero essere siglati.
“Un referendum sulla neutralità dell’Ucraina sarà possibile solo quando le forze di occupazione si ritireranno dal nostro territorio”, spiega Mikhailo Podolyak l’uomo a cui Volodymyr Zelensky ha dato il compito di condurre la difficile partita di negoziazione con i russi. “Affinché il trattato di sicurezza sia veramente sancito dal diritto internazionale, la procedura deve essere la seguente: un referendum in Ucraina, seguito dalla ratifica da parte del parlamento di Kiev e di quelli dei paesi garanti”, argomenta. Su questo ultimo punto Podolyak dice che la squadra “è aperta” confermando che “anche l’Italia” ha dimostrato interesse.
Intanto il presidente Zelensky telefona per un’ora a Joe Biden. Una conversazione dove fra i vari punti toccati – rileva il leader di Kiev – ci sono “supporto difensivo specifico e un nuovo pacchetto di sanzioni rafforzate”. Gli Stati Uniti dal canto loro annunciano “500 milioni di dollari in aiuti di bilancio diretti”, all’Ucraina. A Londra, invece, Boris Johnson dichiara “molto chiaramente” che l’obiettivo della Gran Bretagna “non è quello di rovesciare Putin”. Nessun passo indietro invece sulle sanzioni “anche in caso di cessate il fuoco”.
Pure al Cremlino le telefonate si susseguono. L’argomento principale è quello del pagamento in rubli del gas russo. Putin ne parla con il premier Mario Draghi e, soprattutto, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Un tema caldo sul quale il dialogo “proseguirà”. Per ora, conferma il Cremlino, non ci sarà nessun obbligo. Berlino infatti sa sapere che Putin ha riferito a Scholz che dal 1 aprile i paesi europei con contratti esistenti potranno continuare a pagare in euro o dollari alla Gazprom-Bank, una delle poche a non essere colpite dalle sanzioni occidentali. L’istituto farà poi convertire il denaro ricevuto in rubli.
Sul campo infine la battaglia prosegue. A farne le spese sono in prima persona i civili. A Mariupol i russi bombardano un magazzino della Croce Rossa mentre gli ucraini rendono noto che “non ci sono segnali” di un ritiro delle truppe russe dalle zone di Kiev e Chernihiv, quelle verso cui Mosca aveva annunciato un allentamento “radicale” dell’offensiva militare. Secondo gli Stati Uniti Vladimir Putin sarebbe “male informato” dai suoi consiglieri sull’andamento della guerra e sull’impatto delle sanzioni “perché hanno troppa paura a dirgli la verità” e questo – a dire dell’intelligence americana – avrebbe portato a tensioni “persistenti” fra il presidente e il ministero della Difesa.(LaPresse)