MILANO – L’Italia delle scuole che escono dalla didattica a distanza (DaD) si scopre diseguale, vogliosa di tornare in classe e con i suoi ragazzi che hanno meno relazioni con gli amici rispetto a prima della pandemia. È la fotografia che scatta l’Istat con l’indagine sugli alunni delle scuole secondarie dal titolo ‘I ragazzi e la pandemia: vita quotidiana ‘a distanza’. Secondo i primi dati 2021 dell’Istituto nazionale di statistica guidato da Gian Carlo Blangiardo la quasi totalità degli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado (98,7%, pari a oltre 4 milioni e 220mila) ha sperimentato periodi di lezioni a distanza, ma il 67,7% di loro preferisce l’insegnamento in presenza. Sulla generazione dei “nativi digitali”, utilizzatori delle tecnologie per la comunicazione, l’informazione e il gaming anche prima del Covid, il ricorso “obbligato” all’insegnamento da remoto ha fatto emergere nuovi elementi di diseguaglianza connessi a divari digitali (e socio-economici) pre-esistenti sebbene abbia sicuramente introdotto un cambio di passo nell’utilizzo dell’ICT.
Se è vero infatti che i ragazzi erano già “molto connessi”, non tutti disponevano degli strumenti più adeguati, sia dal punto di vista dell’hardware sia della connessione di rete, per seguire numerose ore di didattica a distanza. L’80% degli studenti italiani ha potuto seguire sin da subito e con continuità la didattica a distanza nel periodo compreso tra marzo e giugno del 2020. Tra gli stranieri la percentuale di chi ha potuto essere costante nella frequenza delle lezioni online scende, invece, al 71,4%. Durante l’emergenza le scuole, insieme ad altre strutture pubbliche e del privato sociale, hanno cercato di sostenere i ragazzi più svantaggiati mettendo a disposizione pc e tablet, ma dai primi risultati dell’indagine emerge chiaramente che, anche dopo il primo lockdown, non è stato possibile appianare del tutto i divari: nell’anno scolastico 2020-2021 i ragazzi stranieri che hanno utilizzato il pc per seguire la DaD sono il 72,1% contro l’85,3% degli italiani; gli alunni stranieri hanno fatto maggiormente ricorso al cellulare per seguire le lezioni (64,3% contro 53,7%).
Considerando coloro che hanno utilizzato un solo strumento, l’uso esclusivo dello smartphone ha riguardato il 16,8% dei ragazzi stranieri contro il 6,8% degli italiani. Per i ragazzi cinesi e marocchini l’utilizzo esclusivo del cellulare è molto più elevato rispetto alla media degli stranieri, circa il 23%. Disuguaglianze registrate anche nella socialità: in totale il 50,2% dei ragazzi ha visto diminuire le frequentazioni con i propri amici. A pochissimi i lockdown e le quarantene non hanno fatto mancare nulla (2,5% degli italiani e 6,6% degli stranieri). Viaggiare è l’attività di cui gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado hanno sentito maggiormente la mancanza (51%), seguita dalla libertà di uscire (49%), dalla frequentazione di “feste, cene e aperitivi” (48%). Per queste ultime attività emergono rilevanti differenze: sono mancate al 48,9% degli italiani e al 37,3% degli stranieri. Lo stesso accade per lo sport, mancato di più al 42,9% degli italiani e al 35,7% degli stranieri.
Numeri spiegabili con la minore partecipazione degli stranieri alla vita collettiva e sociale anche prima del biennio pandemico. Nel tentativo di sostituire la socialità dal vivo con quella virtuale e far fronte ai distanziamenti, l’utilizzo di chat e social network è aumentato del 69,5% rispetto al pre-Covid per gli alunni italiani e del 64,1% per gli stranieri. Chiamate telefoniche e videochiamate hanno fatto registrare un +65,7% per gli italiani e +53,3% per gli stranieri.
di Francesco Floris