La Dda: Sergio Orsi in affari con il fratello del boss Iovine

Avrebbero puntato a ‘riprendersi’ un terreno confiscato al clan a Villa Literno

Sergio Orsi e Vitantonio Iovine (non indagato)

CASAL DI PRINCIPE – Rientrare nel giro dei business importanti. Era il cruccio di Sergio Orsi. I rifiuti, al tempo di Eco4, gli avevano dato denaro, potere e tanto dolore. Ma rappresentavano il passato. Voleva e doveva reinventarsi. E poco dopo aver lasciato il carcere, era la primavera del 2020, l’imprenditore, ha ricostruito la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, si mise in moto per tornare in pista. Grazie allo spyware che i carabinieri di Aversa gli iniettarono nel cellulare, gli inquirenti hanno potuto monitorare passo passo il suo ritorno nel mondo delle imprese. Un ritorno, però, caratterizzato da metodi che gli inquirenti hanno ritenuto illeciti. Il presunto giro di mazzette per manipolare alcuni appalti banditi dal Cira è solo un segmento delle attività avviate da Orsi negli ultimi due anni. I militari dell’Arma hanno accertato che si era messo in affari pure con Vitantonio Iovine (non indagato ed innocente fino a prova contraria), fratello di Mario Iovine detto Rififì, esponente di spicco del clan dei Casalesi. E con lui, che gestisce un negozio di abbigliamento, stando alle conversazioni intercettate, aveva in programma degli investimenti a Villa Literno. Nell’estate del 2020 stavano progettando la realizzazione di un insediamento commerciale su un terreno confiscato alla mafia locale. E parlando con il fratello di Rififì di quell’area, affermò che il terreno doveva “tornare da noi”. E quel “da noi” per la Procura distrettuale dimostra come l’imprenditore di Casale, già condannato per associazione a delinquere di stampo mafiosa, va considerato ancora parte attiva del clan.
Il progetto liternese di Orsi è emerso durante l’attività investigativa dei carabinieri che ha svelato il suo inserimento negli appalti del Cira grazie, sostiene la Dda partenopea, alla corruzione di due funzionari, Carlo Russo e Vincenzo Filomena, conosciuti attraverso Antonio Fago. E proprio grazie ai due dipendenti del Cira che Orsi, stando alla tesi dei pm Maurizio Giordano e Graziella Arlomende, sarebbe riuscito a veicolare alcune gare verso ditte a lui vicine.
Orsi, di nuovo in prigione, i due dipendenti del Cira e l’intermediario, finiti ai domiciliari, rispondono di corruzione e turbativa d’asta. L’aggravante mafiosa è contestata al solo uomo d’affari di Casal di Principe assistito dai legali Carlo De Stavola e Mario Griffo.
L’inchiesta ha coinvolto per turbativa d’asta, inoltre, Adolfo Orsi, figlio di Sergio, e il costruttore Felice Di Palma, di Somma Vesuviana: per il primo è stato disposto l’obbligo di dimora, per il secondo il divieto di fare impresa. Stessa misura cautelare emessa per Felice Ciervo, cugino del ras del clan dei Casalesi Bernardo, e Salvatore Orsi, nipote di Sergio: ad entrambi è contestato il trasferimento fraudolento di beni. Si sarebbero intestati solo fittiziamente il 50 percento a testa della società Italiana Multiservizi usata da Sergio Orsi per partecipare ad alcune gara. Obbligo di dimora disposto pure per i trentolesi Amedeo Grassia e Francesco Pirozzi, geometra dell’ufficio tecnico del Cira, indagati per rivelazione di segreti d’ufficio. E’ finito in carcere, invece, Oreste Fabio Luongo, accusato di turbativa d’asta e camorra. Ad emettere i provvedimenti cautelari, eseguiti dai carabinieri martedì scorso, è stato il giudice Isabella Iaselli. Nel collegio difensivo anche i legali Maurizio Noviello e Generoso Grasso.

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