ROMA – Dopo giorni di mediazione, dopo un intervento deciso ma misurato in Senato, dopo aver ascoltato – a palazzo Madama prima e a Montecitorio poi – indicazioni, distinguo e reprimende, Mario Draghi si alza in piedi, ringrazia tutti (anche “queste voci dissonanti”) e traccia una linea. La replica agli interventi dei deputati è già scritta, messa nero su bianco su una paginetta, e ricalca quella formulata il giorno prima, ma il premier sceglie di andare a braccio.
“L’Italia e io personalmente cerchiamo la pace, l’abbiamo cercata sin dall’inizio”, è la premessa pronunciata per replicare a chi rimprovera tentativi diplomatici ridotti all’osso. Poi, però, per il presidente del Consiglio “c’è una fondamentale differenza tra due punti di vista”. In base al primo, “che è quello mio sostanzialmente – sottolinea – l’Ucraina si deve difendere. Le sanzioni, l’invio di armi servono a questo”. Scavalcare questa linea significa per l’inquilino di palazzo Chigi guardare quello che sta accadendo a Kiev da un secondo punto di vista, “diverso”.
E’ quello di chi dice: “L’Ucraina non si deve difendere, non dobbiamo fare le sanzioni e non dobbiamo mandare le armi. La Russia è troppo forte, perché combatterla. Lasciamola entrare, lasciamo che l’Ucraina si sottometta, dopotutto cosa vogliono questi'”. La differenza tra queste due visioni della crisi è talmente netta che, dopo aver a lungo mediato e ascoltato, Draghi non accetta eccezioni. Per il premier l’Italia è e resta saldamente nella metà del campo di chi crede che la pace vada costruita a partire dalla difesa dell’Ucraina e dalle condizioni dettate da Volodymyr Zelensky. E se l’aula del Senato ieri era stata parca negli applausi (solo cinque, le interruzioni) a Montecitorio va in scena una standing ovation.
Roberto Fico è costretto a intervenire: “Batta le mani, non sul banco”, dice rivolgendosi al deputato Pd, Filippo Sensi. Accanto all’ex numero uno Bce c’è Luigi Di Maio che batte le mani vistosamente e sorride: “Vabbè ma dai….”. I parlamentari di Alternativa si lanciano in più di un’occasione alla conquista dei banchi del Governo con alcuni cartelli che recitano ‘basta guerra’, ‘stop invio armi in Ucraina’. Alla fine, la risoluzione di maggioranza viene approvata con 410 voti facorevoli 29 contrari e 34 astenuti (i deputati FdI e anche la risoluzione firmata dal gruppo guidato da Giorgia Meloni incassa il sì della Camera.
Draghi e i ministri lasciano l’assemblea prima del voto per andare a pranzo al Quirinale, come da prassi prima di un Consiglio europeo. Tra il premier e Sergio Mattarella la sintonia, ancora una volta, è totale. I due ribadiscono “l’impegno” dell’Italia per l’allargamento dell’Ue all’Ucraina e dei Balcani Occidentali (Albania e Macedonia) e per la modifica dei trattati nell’ottica di superare il meccanismo dell’unanimità in favore di un voto a maggioranza. Sul tavolo dei due presidenti ci sono anche i dossier economici che hanno immediate ricadute sul nostro Paese.
Per affrontare l’aumento dello spread, la crisi energetica e quella alimentare, è la convinzione comune, servono l’unità dell’Italia e dell’Europa. Ed è in quest’ottica che il Governo adesso dovrà andare avanti per dare risposte concrete ai cittadini ed evitare il divampare di una crisi sociale. Nessun tagliando alla squadra, nessun rimpasto. Anzi. L’auspicio è che gli stop&go che ci sono stati fino ad ora possano lasciare il passo a una maggiore concentrazione sulle riforme in modo da rilanciare l’azione del Governo.
Nel primo consiglio dei ministri dopo la scissione del M5S e la conseguente variazione dell’assetto della maggioranza, anche se Luigi Di Maio è assente perché in missione in Serbia, l’esecutivo approva la proroga delle riduzioni sulle bollette per il prossimo trimestre. Presto, sul tavolo di Draghi e dei ministri tornerà la questione accise ed “entro l’estate”, così almeno spera Andrea Orlando, ci si concentrerà sul dossier salari. Al rientro dalle vacanze, infatti, comincerà la partita della legge di bilancio. Poi, sarà – di nuovo – campagna elettorale.(LaPresse)