ROMA – Salta il blitz di Pd e M5S (governista) per blindare Mario Draghi mercoledì. La mossa del centrosinistra e di quel che resta dei pentastellati pro-premier si consuma nella conferenza dei capigruppo della Camera, con il presidente Roberto Fico tornato in presenza dopo l’isolamento da Covid. I capigruppo Debora Serracchiani e Davide Crippa ‘ci provano’ e sostengono nella riunione che la ‘crisi’ sul decreto legge Aiuti ha avuto inizio proprio nel palazzo guidato dal pentastellato e non in Senato.
Ramo del Parlamento individuato, invece, come ‘culla’ in cui è venuta a mancare una parte della fiducia della maggioranza che sostiene l’esecutivo. La strategia è quella di far esprimere i parlamentari dove il sostegno al premier è più sostanzioso, soprattutto tra i 5Stelle, mentre a palazzo Madama si troverebbe la fronda più barricadera e pronta a staccare la spina. La reazione è a catena. Giuseppe Conte è spiazzato e ammette di non essere stato informato, mentre la Lega non ci sta e attacca: “Basta giochi di Palazzo di 5S e Pd, Draghi prima al Senato”. E così sarà. Fico trasmette al presidente Elisabetta Alberti Casellati la richiesta e -di comune accordo – decidono che la ‘prassi’ anche questa volta deve avere la meglio.
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, renderà, insomma, le sue comunicazioni con dibattito fiduciario e voto per appello nominale, prima in Senato la mattina e nel pomeriggio alla Camera. E su questo, spiegano gli addetti ai lavori, non c’è stato mai alcun dubbio. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha rifiutato le dimissioni e ha rinviato l’ex capo della Bce in Parlamento per una verifica della fiducia, atto che può essere svolto solo attraverso un voto, a differenza della semplice informativa che non lo prevede.
Draghi pronuncerà il suo discorso, poi ci sarà una breve pausa per permettergli di consegnare il testo a Montecitorio e poi tornerà in Senato, dove ascolterà il dibattito e replicherà. Da questo momento in poi il futuro della legislatura sarà tutto nelle sue mani. Come annunciato in Consiglio dei ministri giovedì scorso – in via informale – la sua volontà è quella di non non far svolgere il voto, lasciare l’aula e dirigersi al Colle per dimettersi nuovamente. Lo stesso percorso che fece Giuseppe Conte – oggi protagonista di questa crisi – nel 2019 in occasione della rottura con la Lega di Matteo Salvini, che aprì la crisi dal Papeete in pieno agosto. La differenza è che il leader M5S non aveva i numeri, Draghi sì.
E a meno di 48 ore dalle comunicazioni del premier, tra i corridoi della politica si respira un misto di tensione e incertezza. C’è chi vede nel voto calendarizzato un passo verso l’uscita dalla crisi e scorge all’orizzonte un Draghi ‘ammorbidito’ sulle sue posizioni. Da palazzo Chigi, tuttavia, non si registrano novità ‘politiche’ da far segnare un cambio di passo al presidente del Consiglio. Sul fronte centrodestra si registrano sempre più rigide le posizioni di Lega e Forza Italia, che sembrano già seduti al tavolo a compilare le liste per il voto del 2 ottobre. Silvio Berlusconi è infatti volato da Villa Certosa (in Sardegna) a Villa Zeffirelli, dimora romana sull’Appia Antica.
Il messaggio inviato agli alleati di governo è forte e chiaro: “O Draghi bis senza M5S o le urne”, ha scandito il Cav riunendo lo Stato maggiore del partito. In casa del Carroccio invece sale la voglia di urne ma anche il timore di spillarsi al bavero la seconda ‘lettera scarlatta’, quella di aver mandato in frantumi il governo del paese. Per questo si attendono le mosse di Draghi che, per ora, sembravo inghiottite dall’assoluto riserbo. L’unico a essere ottimista è Matteo Renzi: “Credo che Draghi alla fine farà prevalere il senso delle istituzioni che lo caratterizza da sempre” e “quindi la cosa importante è che mercoledì sia ancora a capo del governo a Palazzo Chigi”.(LaPresse)