ROMA – Stavolta l’accordo è messo nero su bianco e porta in calce le firme di Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova. Ai leader di Pd, Azione e Più Europa servono due ore esatte, dopo giorni di “veti e sportellate” per siglare l’intesa e arrivare – raccontano – a grandi sorrisi e abbracci liberatori.
Nella sala Berlinguer del palazzo dei gruppi di Montecitorio la delegazione dem, composta anche dalle capigruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani e dal coordinatore della segreteria Marco Meloni si ritrova intorno alle 11, e i volti sono scuri. Arrivano mezzora dopo il leader di Azione e il segretario di più Europa, accompagnati da Matteo Richetti, Andrea Mazziotti e Riccardo Magi.
La tensione c’è ma si scioglie nel giro di pochi minuti, quelli necessari ai dem a capire che Calenda è venuto per trattare, non per rompere. Si parte dal nodo collegi e la soluzione si trova grazie “al passo indietro di tutti”, come sottolinea il leader dem. Nessun segretario di partito correrà all’uninominale. Né, recita il testo, “gli ex parlamentari del M5S (usciti nell’ultima legislatura) e gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)”.
Letta e Calenda esultano. “Quello di oggi è un passo importante che rende le elezioni veramente contendibili – assicura il leader dem – Abbiamo guardato più all’interesse generale che a singoli aspetti, ognuno ha fatto la sua parte”. “Siamo pienamente soddisfatti del testo sottoscritto, c’è un richiamo preciso senza infingimenti all’agenda Draghi – gli fa eco l’ex titolare del Mise – Oggi si riapre totalmente la partita”. Il leader di Azione rassicura gli alleati anche sulla fine delle ostilità: “Da oggi stop alle polemiche”, garantisce.
L’accordo, però, manda in fibrillazione gli altri possibili alleati del Pd. Tra i leader quello che si arrabbia di più è Luigi Di Maio. “Essendo stato fatto fuori dall’uninominale, a 24 ore dalla presentazione del simbolo di Impegno civico che porta il suo nome, non potrà correrci sotto, a meno di non voler rischiare in prima persona e scommettere sul raggiungimento del 3%”, ragionano i suoi parlamentari. L’alternativa, per “spirito di coalizione” gliela offre il Pd. Ai leader dei partiti del centrosinistra i dem offrono “diritto di tribuna” nella propria lista.
Di Maio potrebbe correre, al sicuro, con il Pd e far correre i suoi con Impegno civico. Il ministro degli Esteri, in ogni caso, non gradisce e non basta un faccia a faccia alla Farnesina con Enrico Letta a placare la situazione. I due torneranno a vedersi domani, intanto tra i dem provano a stemperare la cosa: “Castelli, Spadafora e gli altri se la giocheranno nel proporzionale, del resto anche se ci fosse stata la possibilità di inserirli negli uninominali, quanti posti volevano? Sarebbero stati 2 o 3 comunque”, ragionano i dem.
I collegi, da accordo, verranno invece suddivisi con un rapporto 70/30: il 70% andrà al Partito democratico e il 30% a +Europa/Azione. Dal totale verranno scomputati quelli che saranno attribuiti alle altre liste dell’alleanza elettorale, che potranno magari decidere di candidare nell’uninominale personalità della società civile ‘compatibili con tutti e non divisive’. Non solo però. A bypassare le strette dell’accordo potrebbe essere ad esempio Federico Pizzarotti, ex M5S sì, ma non in questa legislatura.
Anche verdi e Sinistra italiana storcono il naso, complice anche un riferimento ai rigassificatori sia pur “nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica sostenibile” presente nell’accordo. “Il patto non ci convince e non ci riguarda”, tuonano Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che chiedono un incontro a Letta. Anche in questo caso il segretario risponde nel giro di pochi minuti, fissando a domani pomeriggio il faccia a faccia.
Chi dell’alleanza sicuramente non farà parte è Matteo Renzi. “Abbiamo voluto Draghi al governo, soli contro tutti. Oggi non ci alleiamo con chi ha votato contro Draghi. Prima della convenienza viene la Politica. Quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio. Pronti, ci siamo”, scrive su Twitter commentando l’incontro.
A sera detta la linea ai suoi: “Noi dobbiamo essere molto tranquilli. Nessun tipo di polemica e fare la battaglia controcorrente con grande entusiasmo. Noi siamo il vero voto utile e non una coalizione che va da Azione a rifondazione, ci aprono spazi enormi”. Certo la consapevolezza che sia un all-in l’ex premier ce l’ha: “Siamo a un passo dal 3% e a volte anche sopra il 3%. È una partita secca”, dentro o fuori. “Io – azzarda – sono convinto che si possa arrivare al 5%”.