VITULAZIO – Una vicenda di natura “privata e familiare”, in cui i soggetti favoriti sono gli stretti congiunti dei due protagonisti. È così che il collegio C della seconda sezione penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto da Antonio Riccio, ha descritto la vicenda giudiziaria che ha tenuto a processo Antonio Scialdone, oggi consigliere comunale di minoranza, per circa 7 anni (iter giudiziario conclusosi con la prescrizione). Con il politico vitulatino, l’altro protagonista a cui fa riferimento il palazzo di giustizia è Maurizio Fusco, al tempo delle presunte condotte illecite contestate, affiliato al clan dei Casalesi. Ma la mafia, ha chiarito il Tribunale, nel motivare la sentenza emessa il 2 dicembre scorso, non c’entra.
L’accusa
Andiamo con ordine. Scialdone era accusato dalla Dda di Napoli di aver promesso a Fusco, in cambio di voti da garantire alla sorella Giovanna Lina Scialdone, candidata consigliera nel 2009, l’assunzione della moglie Antonietta Stellato presso la società International Security Guard e quella del fratello Giuseppe Fusco presso l’Ecologica Service, avvenute rispettivamente nel settembre 2009 e nel febbraio 2011. Per gli inquirenti, il tutto si sarebbe svolto facendo leva sulla forza di intimidazione del clan dei Casalesi. Ma che il pacchetto di voti riconducibile a Fusco e girato agli Scialdone fosse stato garantito dall’appartenenza alla cosca è stato escluso dal Tribunale: non sono emerse prove “che i voti fossero stati estorti avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento del vincolo associativo”.
I collaboratori di giustizia
I collaboratori di giustizia ascoltati a dibattimento hanno sempre parlato, infatti, quasi esclusivamente della mafiosità di Fusco. Solo Luigi Cassandra “ha riferito sui rapporti tra Nicola Ferraro, politico e imprenditore condannato per concorso esterno al clan, e Scialdone, descritto come uomo di fiducia del primo, ma le sue dichiarazioni – ha chiarito il collegio – si fermano al 2008-inizio 2009”. Massimo Vitolo, altro ras pentito, invece, ha definito Sciladone solo genericamente “amico di Ferraro”. E Benito Natale, collaboratore di giustizia di Grazzanise, ha parlato di episodi successivi al periodo della contestazione. Circostanze che hanno convinto il Tribunale ad escludere la contestazione dell’aggravante mafiosa. Ma criminalità organizzata a parte, i giudici hanno evidenziato pure che “le prove a discarico introdotte (nel corso del lungo dibattimento, ndr) raffrontate agli elementi a carico, portano alla constatazione dell’innocenza di Scialdone”.
La sentenza del 2017
Insomma, secondo il Tribunale, la corruzione elettorale c’è stata. E a pesare su questa considerazione è stata pure la sentenza irrevocabile (lo è diventata il 17 maggio 2017), che ha accertato il fatto contestato e che ha portato alla condanna di Fusco. Fatto “riscontrato” pure “dagli appunti presenti sull’agenda sequestrata all’imputato, dalle documentate assunzione dei familiari di Maurizio Fusco, e dalle conversazione intercettati a pochi giorni dall’inizio dello svolgimento dell’attività lavorativa di Giuseppe Fusco”. Ma venendo meno l’aggravante mafiosa, hanno spiegato i togati , è scattata “la declaratoria di estinzione del reato per intervenuto prescrizione”. Le motivazioni della sentenza sono state depositate a fine febbraio.
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