Londra (Regno Unito), 28 apr. (LaPresse/AFP) – Alfie Evans è morto. Il bambino britannico al centro di una lunga battaglia legale, affetto da una malattia neuro-degenerativa che aveva provocato danni irreversibili al cervello, si è spento a 23 mesi nell’ospedale Alder Hey di Liverpool, nel nordovest dell’Inghilterra, dove era ricoverato in stato semi-vegetativo da dicembre del 2016. Palloncini, giochi, candele e fiori hanno subito cominciato ad accumularsi davanti all’ospedale e il cosiddetto ‘Esercito di Alfie’, un gruppo di sostegno che conta su Facebook oltre 801mila membri, ha in programma per le 15.30 ora italiana un lancio di palloncini viola e blu nel parco adiacente.
Ad annunciare la morte i genitori, sui social network: “Il mio gladiatore ha posato il suo scudo e ha spiccato il volo alle 2.30”, ha scritto su Facebook il padre, Tom Evans, dicendosi “completamente distrutto”. Messaggio analogo anche dalla madre, Kate James: “Al nostro bambino sono cresciute le ali stanotte alle 2.30. Siamo affranti. Grazie a tutti per il vostro supporto”. Su Twitter il commento di papa Francesco: “Sono profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie. Oggi prego specialmente per i suoi genitori, mentre Dio Padre lo accoglie nel suo tenero abbraccio”.
La famiglia ha combattuto nei tribunali per trasferire Alfie dall’ospedale di Liverpool al Bambino Gesù di Roma, ma ha perso l’ultimo ricorso mercoledì. Già lunedì i medici avevano staccato le macchine di assistenza respiratoria dopo che i genitori avevano perso un precedente tentativo giudiziario di tenerlo in vita nonostante le raccomandazioni dei dottori. Alta Corte, Corte d’appello e Corte suprema britannica si sono espresse ogni volta a favore del team medico. E anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto la richiesta dei genitori: secondo l’ospedale, la giustizia ha confermato con ogni decisione che “non era nel miglior interesse di Alfie continuare a ricevere un trattamento o viaggiare all’estero per ricevere cure”.
“Vogliamo esprimere la nostra sincera empatia e le nostre condoglianze alla famiglia di Alfie in questo periodo estremamente impegnativo”, ha commentato l’ospedale di Liverpool. “Per loro è stato un viaggio devastante”, ha aggiunto. Diverse persone avevano manifestato questa settimana davanti alla struttura per esprimere il loro sostegno ai genitori e molti avevano provato a occupare la hall di ingresso, prima di essere bloccati dalla polizia.
Nato il 9 maggio del 2016, Alfie fu portato in ospedale la prima volta a dicembre di quell’anno dopo avere sofferto di convulsioni. Le sue condizioni peggiorarono e così un anno dopo, a dicembre del 2017, l’ospedale raccomandò di staccare le macchine che tenevano il bambino in vita artificialmente. I genitori non erano però d’accordo, così si rivolsero al tribunale. Il motivo alla base della battaglia legale è che la legge britannica stabilisce che i genitori “non possono chiedere che venga proseguito un particolare tipo di cura se il peso del trattamento supera chiaramente i benefici per il bambino”; e prevede anche che, nel caso in cui non si riesca a raggiungere un accordo fra i genitori e il personale sanitario, “si dovrebbe chiedere a una Corte di fare una dichiarazione sul se il trattamento per il mantenimento in vita porti benefici al bambino”.
Il caso di Alfie ha avuto eco anche nel resto del mondo, soprattutto in Polonia e Italia, dove sono state organizzate veglie per il piccolo. In Italia, in particolare, lunedì il governo aveva dato la nazionalità al bambino nella speranza di agevolare il suo trasferimento a Roma al Bambino Gesù. E sul caso si era espresso papa Francesco in persona anche qualche giorno fa, lanciando diversi appelli per mantenere in vita Alfie e ricevendo il 18 aprile il padre Tom Evans in udienza privata. “Rinnovo il mio appello affinché le sofferenze dei genitori vengano ascoltate e possa essere garantito il loro desiderio di cercare nuove forme di cura”, aveva scritto il pontefice lunedì su Twitter. “L’unico padrone della vita dall’inizio alla fine naturale è Dio. È nostro dovere fare di tutto per custodire la vita”, aveva aggiunto.