Rischio faida, spunta la pista partenopea dietro gli spari contro casa Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Erano le 23 e 49 del 7 giugno scorso quando da una Ford B-Max, mentre transitava nei pressi del bar Borriello, vennero esplosi in aria diversi colpi d’arma da fuoco. A premere il grilletto fu il passeggero che sedeva sul sedile anteriore dell’auto (risultata rubata il 15 maggio scorso a Sasso di Castalda, in Basilicata).

Alle 23 e 51 quella stessa vettura raggiunse via Bologna, muovendosi verso via Italia, e dall’abitacolo partì una prima raffica di proiettili in direzione della casa abitata da Emanuele Libero Schiavone, figlio del capoclan Francesco Sandokan. La Ford, arrivata all’incrocio, fece inversione e ripercorse la strada puntando via Croce, e quando si ritrovò di nuovo in corrispondenza dell’abitazione, uno degli occupanti della macchina esplose altri proiettili.

Alle 23 e 59 giunse lì Francesco Reccia, 21enne sanciprianese, con due ragazze. Emanuele Libero Schiavone fece salire al piano superiore i tre e qui iniziarono a parlare di cosa era appena successo. Una conversazione che, grazie alle intercettazioni ambientali, i carabinieri della Compagnia di Casal di Principe hanno potuto ascoltare quasi integralmente. E a fornire agli investigatori, coordinati dalla Dda di Napoli, una possibile traccia sugli autori di quegli spari è stato, ignaro di essere sentito, proprio Reccia.
Il sanciprianese, figlio di Oreste, alias Recchie ‘e lepre, storico esponente del clan dei Casalesi, riferì a Emanuele Libero Schiavone che i protagonisti di quel raid di piombo erano persone di Napoli e che tra chi avrebbe partecipato alla stesa in piazza Mercato (vicino al bar Borriello) c’era “quello zingaro che mi diede lo schiaffo in faccia”.

Prima di queste due intimidazioni armate, stando a quanto ricostruito dai carabinieri, Emanuele Libero Schiavone, che era tornato a Casale il 15 aprile scorso, dopo aver trascorso 12 anni in cella, si era attivato per riorganizzare la cosca. Nonostante la scelta del genitore (presa a marzo) di iniziare a collaborare con la giustizia (percorso complicato e dall’esito incerto), il rampollo di casa Sandokan ha voluto rimanere nell’Agro aversano e non recidere i suoi legami con gli ambienti mafiosi. Nel farlo, nel compiere questa opera di ricostituzione criminale, avrebbe però pestato i piedi a personaggi legati ai Bidognetti (gruppo che ha il supporto dei Mallardo di Giugliano e dell’Alleanza di Secondigliano).

Alcuni giorni prima della stesa in piazza Mercato, Sandokan jr avrebbe provato a colpire uno dei soggetti ora vicini alla compagine che inneggia all’ergastolano Francesco Bidognetti e al figlio Gianluca Nanà. Per quale ragione? A quanto pare aveva preteso una quota dai proventi dello spaccio di narcotici gestito da soggetti vicini ai bidognettiani. Ma gli venne risposto picche. E così Schiavone jr avrebbe deciso di reagire a quel no in modo violento per dare un segnale di forza (e per scrollarsi di dosso la figura del padre collaboratore di giustizia). Ma, fortunatamente, non riuscì a concretizzare l’agguato che aveva programmato.

Il presunto piano criminale, però, non passò inosservato: il gruppo a cui fa riferimento il soggetto che Schiavone voleva eliminare passò al contrattacco. Come? Sparando nel luogo dove Sandokan jr aveva allestito una sua rete di spaccio di droga (piazza Mercato) e crivellandogli il portone di casa, hanno voluto comunicare: un invito, poco gentile, a tirarsi fuori dai business criminali e ad andare via da Casale. Se non lo avesse fatto, per Emanuele Libero sarebbe finita male. E non l’avrebbe passata liscia neppure il suo fidato, dato che la notte dell’11 giugno, era andata in scena una stesa anche in via Ovidio, a S. Cipriano, dove vive Francesco Reccia.

E i napoletani? Non è da escludere che i bidognettiani abbiano chiesto ai partenopei, a cui sono legati, di agire per loro conto.
Dopo il 7 giugno, Emanuele Libero Schiavone e Reccia si erano spostati a Napoli, nella zona del Pallonetto di Santa Lucia: probabilmente erano andati lì per trovare protezione e chiedere supporto a un altro gruppo in un’eventuale faida da affrontare. Ma a impedire che questo scontro degenerasse, ad evitare che fosse versato sangue, è stato il tempestivo intervento dei carabinieri: il 15 giugno scorso hanno arrestato Sandokan jr e il sanciprianese, difesi dagli avvocati Paolo Caterino e Domenico Della Gatta, con l’accusa di aver portato in luogo pubblico armi con l’obiettivo di rispondere agli avversari.
Venerdì l’ordinanza cautelare per i due, emessa dall’ufficio gip del Tribunale partenopeo, sarà valutata dal Riesame.

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