Sperona con l’auto un 46enne e causa un incidente mortale: c’è la condanna

La vettura della vittima andò a schiantarsi contro un palo a Varcaturo. Era stata inseguita dal 63enne dopo un litigio in un locale

TEVEROLA – Dichiarato inammissibile dalla Cassazione il ricorso presentato dalla difesa di Salvatore Picone contro la sentenza di secondo grado: la condanna a 7 anni e mezzo di reclusione per omicidio preterintenzionale, incassata l’8 novembre scorso, diventa irrevocabile.
A determinare questo verdetto la tragedia che si verificò tra sabato 12 e domenica 13 giugno 2021. Carlo Postiglione, 43enne di Licola, era alla guida della sua vettura con a bordo un amico quando finì fuori strada a Varcaturo e si schiantò contro un palo. Postiglione morì sul colpo, l’amico fu portato in ospedale e si salvò. Inizialmente si pensò che fosse stato un incidente. Cinque mesi dopo, invece, la Procura, concluse le indagini, fece scattare la misura cautelare per Picone. Il teverolese, a bordo della propria vettura, speronò quella su cui viaggiava Postiglione e l’amico provocando l’incidente mortale.

Picone, ora 63enne, si sarebbe reso protagonista di quel gesto a seguito di una lite che scoppiò in un locale. Dopo l’alterco, il 43enne e l’amico salirono in auto che accidentalmente urtò la vettura di Salvatore Picone. Secondo la ricostruzione della Procura, da lì sarebbe nato un inseguimento culminato con lo speronamento fatale. Dopo aver urtato il veicolo della vittima, il 63enne si sarebbe dato alla fuga. La scena venne ripresa da alcune telecamere di videosorveglianza installate nella zona. È stato grazie alle immagini che gli inquirenti hanno ricostruito la dinamica di quanto successo. Salvatore Picone è stato giudicato colpevole di omicidio preterintenzionale e lesioni personali aggravate.
La difesa del teverolese si era rivolta alla Cassazione articolando il ricorso su due motivi: il primo riguardava la presunta erronea qualificazione giuridica dei fatti. Hanno sostenuto che Picone avrebbe agito al massimo con colpa. Hanno inoltre affermato che la pena inflitta non era conforme alla legge, poiché le circostanze attenuanti generiche non erano state concesse con giudizio di prevalenza, rendendo la sanzione sproporzionata rispetto ai fatti.

La Cassazione ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile. La Suprema Corte ha richiamato la giurisprudenza consolidata secondo cui è ammissibile il ricorso contro sentenze emesse ai sensi del codice di procedura penale solo per motivi legati alla formazione della volontà delle parti di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero e al contenuto difforme della pronuncia del giudice. Sono invece inammissibili i ricorsi che contestano la qualificazione giuridica dei fatti, se questa è stata oggetto di rinuncia. La Corte ha specificato che la pena può definirsi illegale solo quando non corrisponde alla specie o quantità previste dalla legge per il reato imputato, e che in questo caso non era stata applicata una pena illegale.

Gli ‘ermellini’ hanno quindi dichiarato inammissibile il ricorso e condannato Salvatore Picone al pagamento delle spese processuali, oltre a una sanzione di 4.000 euro da versare alla Cassa delle ammende, considerata la manifesta infondatezza dell’impugnazione.

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