NAPOLI – Antonio Capasso resta in carcere. E’ quanto stabilito dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dalla difesa del 33enne, che sperava in un annullamento della misura cautelare in carcere. Il 33enne, figlio di Ciro Capasso, narcos e titolare del ristorante Tufò a Posillipo, aveva presentato ricorso contro l’ordinanza del 15 marzo con la quale il Tribunale del Riesame di Napoli ha rigettato l’appello contro la decisione con la quale la Corte di Appello di Napoli aveva respinto la richiesta di perdita di efficacia, per decorso del termine massimo della misura cautelare della custodia in carcere applicata nei confronti dell’imputato con ordinanza emessa il 4 febbraio 2020.
Antonio Capasso, ad esito del giudizio abbreviato, è stato ritenuto colpevole dal gup del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, quale dirigente dell’associazione stessa finalizzata all’importazione e al traffico di ingenti quantitativi di cocaina nonché di vari reati fine e condannato alla pena di 16 anni di reclusione, con sentenza confermata in Appello, annullata poi dalla Sesta sezione della Corte di cassazione “limitatamente alla qualifica di organizzatore in relazione al reato di cui al capo 1, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli”. Sperava in un nuovo successo in Cassazione. Non è andata così.
giudicato inammissibile il ricorso, condannando Antonio Capasso al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della cassa delle ammende. Ma chi è Antonio Capasso? Il suo nome venne alla ribalta nell’inverno di quattro anni fa, quando un’inchiesta della Dda culminò in un maxi blitz. Era la mattina del 4 febbraio. Oltre 150 uomini finanzieri del comando provinciale di Napoli, con il supporto dei comandi provinciali di Roma, Salerno, Caserta e Latina, diedero hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 24 membri di un’organizzazione di narcotrafficanti operante tra Campania e Lazio. Fra i principali esponenti del sodalizio figurava Ciro Capasso, suo padre, la cui operatività nel settore del traffico di sostanze stupefacenti era già emersa in altre inchieste giudiziarie che ne hanno attestato, la vicinanza ad ambienti camorristici riferibili al clan degli Scissionisti di Secondigliano, nonché all’ala economica del clan Contini e comunque in contatto con altri sodalizi napoletani in favore dei quali ha operato nel tempo come vero e proprio broker del narcotraffico.
In particolare, di rilievo è la vicenda che vide come protagonista una donna a lui legata, e ritenuta appartenente al gruppo di commercianti, che veniva ‘usata’ per riciclare parte dei proventi illeciti del clan. Furono proprio i legami sentimentali con Ciro Capasso che indussero la donna ad accollarsi buona parte di un debito, pari a circa un milione di euro, che lo stesso aveva maturato nei confronti di alcuni clan a causa del sequestro patito nel 2007 di un ingente di carico di droga, riuscendo fra l’altro ad ottenere una dilazione di pagamento in favore del clan che aveva effettuato la ‘puntata’ in rate mensili da 30mila euro ciascuna. Le indagini che sfociarono nel blitz consentirono di raccogliere gravi indizi di colpevolezza in ordine al fatto che Ciro Capasso negli anni successivi, tornato in libertà, sia riuscito a superare la grave crisi finanziaria e abbia ripreso a pieno regime la sua attività di narcotrafficante investendo parte dei suoi guadagni nel settore della ristorazione.
Proprio all’interno di uno dei locali in gestione, la nota trattoria-gourmet Tufò di via Posillipo, si sono tenute alcune riunioni tra Ciro Capasso, il figlio Antonio e altri membri dell’associazione, finalizzate a concordare l’acquisto di considerevoli quantitativi di cocaina. In effetti, durante uno degli incontri monitorati dagli specialisti del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli, era presente un uomo che dopo qualche giorno (precisamente il 16 maggio del 2018), fu tratto in arresto poiché aveva occultato nell’abitacolo della sua auto oltre 33 chili di cocaina. Oltre al sequestro dello stupefacente, le successive perquisizioni eseguite presso la sua abitazione nel quartiere Posillipo di Napoli consentirono di sequestrare 217mila euro in contanti, 14.mila dollari statunitensi e tre orologi di lusso (due Rolex e un Hublot) del valore complessivo di circa 20mila euro. Ulteriore conferma della solidità del gruppo criminale si è avuta nel mese di luglio quando la sezione Goa dello stesso Gico, in un appartamento a Casalnuovo, sequestrò 10,750 chili di cocaina traendo in arresto quattro membri dell’organizzazione, tra cui lo stesso Ciro Capasso, tutti impegnati a definire la spartizione del carico. La droga sequestrata – il cui valore di mercato al dettaglio si aggira intorno a 10 milioni di euro di euro – sarebbe stata destinata ad alimentare diverse piazze di spaccio non solo della città di Napoli, tenuto conto che alcuni dei potenziali acquirenti operavano in altre località, ma anche delle province di Salerno e Caserta.