Piantare cannabis nei campi di granturco: il nuovo business tentato dal clan dei Casalesi

Alcuni esponenti della cosca stanno tentando di trasformarsi da semplici rivenditori in produttori per aumentare i guadagni

CASAL DI PRINCIPE – Rivolgersi ai grossisti napoletani o albanesi per comprare la droga da rivendere al dettaglio nelle piazze dell’Agro aversano è sicuramente un business redditizio: ci sono però altri modi, sempre connessi al mondo degli stupefacenti, certamente più complessi, in grado di garantire a chi li intraprende guadagni più sostanziosi. Tra questi la possibilità per i malviventi di trasformarsi da rivenditori a produttori di narcotici. E gli esponenti del clan dei Casalesi, preso atto che per tenere in piedi la struttura mafiosa ormai non possono prescindere dall’affare droga, si stanno ingegnando proprio per provare ad indossare i panni, nei limiti delle loro possibilità logistiche, dei coltivatori di marijuana. Con la complicità di agricoltori ‘amici’, puntano a inserire nei campi di granturco coltivazioni di cannabis. In questo modo, pur accollandosi il rischio e il lavoro della produzione, non sono soggetti, almeno per quanto riguarda la marijuana, a fornitori esterni e gli introiti, in teoria, dovrebbero crescere.

Con questo obiettivo si era mosso, hanno ricostruito i carabinieri, Giovanni Della Corte, alias ‘Cucchione’, che dal 2020 al 2022, fino al suo ritorno in carcere, sarebbe stato tra i principali riferimenti del gruppo Schiavone.

I militari, coordinati dalla Dda, in quel periodo di attività di ‘Cucchione’, intercettarono diverse conversazioni con altri soggetti (alcune delle quali avvenute nei pressi della sua abitazione – monitorata anche dalle telecamere) tese a organizzare questo business. Avevano trovato delle aree da coltivare inizialmente a granturco e solo nel mese di maggio da destinare alla semina di cannabis: “Dopo poco arriverà a livello di crescita del granturco piantato precedentemente per farla confondere e nascondere tra la vegetazione”. Era questa la strategia.
Avevano avviato l’affare prevedendo l’acquisto di circa 3mila semi che in piena estate avrebbero dovuto fruttare altrettante piante da 300-400 grammi ciascuna per un valore futuro di oltre mezzo milione di euro: “In inverno – dice Della Corte, ignaro di essere ascoltato dai carabinieri – sono 600mila euro”.

Questo tentativo di business emerge nell’inchiesta che ha portato al suo arresto e alla condanna in primo grado a 13 anni di reclusione.

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