Gricignano d’Aversa. Fabbricati abusivi in zona Pip, saranno demoliti

A confermare l’ordine di abbattimento è stata la Cassazione. Alcuni locali destinati a uffici erano stati trasformati in abitazioni

Giovanni Vargas, a sinistra la sede della Corte di Cassazione a Roma
Giovanni Vargas, a sinistra la sede della Corte di Cassazione a Roma

GRICIGNANO D’AVERSA (an) – La Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati da Teresa Romano e Pasquale Della Gatta, soci della “Della Gatta s.a.s. di Della Gatta Pasqua & C.”, confermando l’ordine di demolizione di due fabbricati costruiti abusivamente nella zona Pip di Gricignano d’Aversa. La vicenda, che si trascina da oltre un decennio, ha visto un nuovo capitolo con la sentenza emessa nei giorni scorsi dalla Suprema Corte, che ha giudicato “manifestamente infondati” i motivi avanzati dalle ricorrenti. I fatti risalgono al 2013, quando il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella sezione distaccata di Aversa, aveva condannato la società per gravi irregolarità edilizie. In particolare, si contestava la realizzazione di due fabbricati in totale difformità rispetto ai permessi di costruire, oltre a un ampliamento non autorizzato e a un cambio di destinazione d’uso che trasformava quattro piani in abitazioni, invece che in uffici come previsto. Romano e Della Gatta, nel tentativo di evitare la demolizione, avevano sostenuto che vi fosse stato un errore nell’identificazione dell’immobile e delle relative particelle catastali. Inoltre, avevano cercato di far valere un’ordinanza del Tar Campania che, nel 2023, aveva sospeso l’annullamento dei permessi di costruire da parte del Comune. Tuttavia, la Cassazione ha respinto queste argomentazioni, affermando che non vi era alcun errore nell’ordinanza del Tribunale e che la sospensiva del Tar non fosse sufficiente a fermare l’esecuzione dell’ordine di demolizione. La Corte ha così messo un punto fermo su una vicenda giudiziaria complessa, confermando non solo la demolizione delle opere abusive, ma anche la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende. La decisione della Suprema corte è stata presa a giugno, le motivazioni sono state rese note la scorsa settimana.

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