Jazz, domani Pietro Condorelli si esibirà al Le Goût di Caserta insieme al Native Language Trio

Native Language Trio
Native Language Trio

Domani sera, venerdì 4 ottobre 2024, il re della chitarra jazz Pietro Condorelli si esibirà al Le Goût, elegante locale situato in Via Marchesiello 112, Caserta, insieme al suo Native Language Trio. Il gruppo, composto dal contrabbassista Antonio Napolitano, dal batterista Raffaele Natale e dallo stesso Condorelli alla chitarra, promette una serata di grande musica e improvvisazione jazz.
Docente al conservatorio San Pietro a Majella da 25 anni, ex componente degli Area, appassionato didatta e tra i pochi rappresentanti al mondo della tradizione della chitarra suonata in stile pianistico (tra i suoi ispiratori Joe Pass, Barney Kessel e Kenny Burrell), Condorelli è noto per la sua maestria nel padroneggiare le diverse tecniche della chitarra swing e per un fraseggio contaminato dalle peculiarità “lessicali” degli altri strumenti (pianoforte, batteria, contrabbasso e sax, ma non solo), solisti o ritmici che siano. Nel corso della sua lunghissima carriera ha dimostrato di saper eccellere e dire qualcosa di nuovo nei generi musicali più disparati, dal rock progressive al jazz mainstream. Per non parlare della sua straordinaria capacità di esprimere tutto il suo estro improvvisativo nelle esibizioni live. I suoi concerti sono un’esperienza unica, sia quando si esibisce negli show di “guitar solo” sia quando è accompagnato da altri musicisti, come in questo caso.
Tra l’altro, ha da poco pubblicato il suo ultimo album, Native Language. Un disco imprescindibile, che non può mancare sullo scaffale di un musicista e che è ora in vendita sulla piattaforma Amazon nei formati CD audio e vinile.


Sei conosciuto come un musicista dotato di ampie vedute musicali e di una lunga esperienza. Come fai a essere ancora motivato dopo tanti anni e a suonare live con un feeling comunicativo così forte?
La motivazione viene dal desiderio di imparare e di comunicare attraverso il mio strumento. Ogni performance è un’opportunità per condividere emozioni, per connettermi con il pubblico e per dialogare con i miei compagni musicisti. Il jazz, in particolare, è un linguaggio in continua evoluzione, e ogni volta che suono, cerco di lasciarmi sorprendere. Questo feeling comunicativo nasce dall’improvvisazione: è un momento di libertà totale, dove possiamo esprimerci senza filtri. Anche dopo tanti anni, ogni nota può portare con sé un’emozione unica e un messaggio che vale la pena di condividere. E poi, ci sono sempre nuovi artisti, nuove influenze, nuove culture musicali che mi ispirano. Questo è ciò che rende il mio lavoro così affascinante e mi tiene motivato”.


Sei conosciuto anche per aver composto tanti brani jazz interessanti. Dove trovi ispirazione e quali sono i tuoi principali riferimenti in ambito compositivo?
L’ispirazione per le mie composizioni arriva da molte fonti diverse. Spesso, mi lascio influenzare dalle emozioni quotidiane: un viaggio, un incontro, o anche un semplice momento di riflessione possono trasformarsi in una melodia o in un’idea musicale. Inoltre, la natura e l’arte visiva sono altrettanto importanti per me. Ci sono momenti in cui un paesaggio o un quadro mi parlano e da lì nascono delle armonie.Sono tanti i compositori che mi hanno colpito nel corso degli anni. Ovviamente, non posso non citare leggende del jazz come Bill Evans, Thelonious Monk e John Coltrane, che hanno avuto un enorme impatto sul mio modo di pensare alla musica. Ma mi ispiro anche a compositori di altri generi, come Bach e Stravinsky, per la loro capacità di architettare, giocare con le strutture e le melodie. La mia musica è un amalgama di esperienze e influenze, e cerco sempre di infondere qualcosa di personale in ogni composizione, per creare un legame autentico con chi ascolta”.


Il batterista Raffaele Natale, che ha maturato una lunga esperienza live grazie a numerose collaborazioni con artisti di fama internazionale, è pronto. Con Condorelli e Napolitano c’è intesa perfetta ormai da anni e lo confermano le sue parole: “Il mio ruolo in questo trio è diversificato. Mi spiego meglio, non ho solo il compito di assecondare e fare da spalla al solista. In questo caso specifico all’amico e maestro Pietro, ma avendo la possibilità di vedermi spesso con lui per studiare e approfondire il linguaggio jazzistico, abbiamo nel tempo instaurato un dialogo musicale profondo, che mi dà l’occasione di poter interagire e proporre il mio pensiero musicale all’interno del trio. Questo anche grazie alla fiducia e alla stima reciproca che ci lega. Il tutto chiaramente reso possibile dal fraterno amico Antonio, che come si dice dalle nostre parti ‘fa i fossi a terra quando suona’, quindi posso affermare che senza ombra di dubbio i ruoli in questo trio spesso si fondono e cambiano in base all’esigenza. In parole povere, ciò che qualsiasi progetto degno di nota deve avere per poter offrire musica di qualità”.


Antonio Napolitano è uno dei contrabbassisti più talentuosi in circolazione. Ha iniziato a farsi notare da giovanissimo e oggi porta la sua musica in giro per l’Italia e all’estero militando in diversi progetti. Ma questo, in particolare, ha per lui un significato speciale. È proprio lui a spiegarcelo, ripercorrendo il suo percorso artistico.
Come è cambiato negli ultimi 30 anni lo stile del contrabasso e come ti rapporti al suono del Native Language trio?
Credo che sia cambiato, non solo per il concetto di ruolo del contrabbasso in questo tipo di musica ma anche dal punto di vista tecnico-strumentale si è evoluto. Io sono partito da quello che consideravo contemporaneo in quegli anni per poi andare a ritroso: Christian McBride, John Patitucci, Larry Granadier, Scott Colley. Ron Carter, ad esempio, è uno dei musicisti più moderni che io conosca. Ascoltando un concerto di McBride a 16 anni mi resi conto che sul contrabbasso era possibile articolare le note come avrei voluto fare io, che venivo dal basso elettrico. Allora imitavo Jaco Pastorius. Poi la costanza e la dedizione nello studio della musica classica e dei grandi strumentisti hanno cambiato la mia vita. I musicisti degli ultimi 30 anni hanno rimescolato le carte sia da un punto di vista tecnico che solistico, ritmico. Studiando a ritroso ho cercato i precursori, Ray Brown e poi Paul Chambers, Charlie Haden, Charles Mingus, fino ad arrivare ad Oscar Pettiford, Slam Stewart, Jimmie Blanton. Il suono del Native Language trio per me è frutto di tutto questo. Ho sempre prestato molta attenzione al tempo e alla pulsazione ritmica, all’armonia, ma anche alla ricerca e allo sviluppo del mio suono, nudo e crudo, così come lo è il peso specifico della mia mano. E’ stato un banco di prova suonare questi brani in trio con la chitarra. Pietro è un musicista straordinario sotto tutti i punti di vista, con uno spiccato gusto armonico oltre che compositivo, il che rende tutto più semplice. Nel mio piccolo, ho cercato di rispettare la tradizione e il ruolo”.


Il titolare del locale, Paolo Falcombello, ha preparato tutto curando ogni dettaglio per l’evento.
Proporre musica e spettacoli di qualità è sempre un’operazione difficile nella nostra zona, come si orienta per coniugare l’arte dei sapori con proposte culturali varie?
Il calendario degli appuntamenti è stato strutturato In linea con la politica sposata dal ristorante che ha scelto di puntare sulla qualità e sull’esclusività dei prodotti. Pietro Condorelli, Antonio Fiorillo, le 7 Stelle di Nanto sono la dimostrazione che nulla è stato lasciato al caso, artisti che spaziano in ogni ambito artistico come protagonisti”.

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