Clan dei Casalesi. Il ritorno silenzioso dei Russo tra Agro aversano e Litorale

A far accendere i riflettori sul gruppo di Peppe ‘o padrino le dichiarazioni di D’Angelo

CASAL DI PRINCIPE – Nove anni di silenzio. Era il settembre del 2015 quando l’indagine della Dda fece scattare, su ordine del Tribunale di Napoli, 44 misure cautelari tese a bloccare i suoi business mafiosi. Parliamo della cosca Russo, componente di peso dell’ala Schiavone del clan dei Casalesi. Da quel blitz, il gruppo, che in Giuseppe Russo, alias Peppe ‘o padrino (ora in carcere), ha uno dei suoi esponenti di vertice, ha avviato una manovra di inabissamento: è stato bravo a non dare più segnali vitali sul territorio, ma, ipotizzano gli investigatori, quella compagine è tutt’altro che estinta. Sulla linea seguita dagli Zagaria, mafiosi con radici casapesennesi, i Russo hanno deciso di dedicare ciò che restava delle loro energie ad investimenti in affari distanti dallo spaccio di narcotici e dalle estorsioni (insomma, da tutto ciò che fa rumore ed è aggredibile dallo Stato con più facilità). Parte dei loro interessi, ritengono diversi appartenenti all’Antimafia, sono stati piantati non solo nell’Agro aversano, il loro fortino, ma anche sul Litorale domizio.

A fornire elementi tesi a tracciare la perdurante attività della compagine di Peppe ‘o padrino è stato il collaboratore di giustizia Vincenzo D’Angelo, alias Biscottino, genero del boss Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ‘e mezzanotte. Lo ha fatto quando è stato interrogato sul clan Picca-Di Martino attivo tra Teverola e Carinaro. Ha chiarito che nel 2022, prima del suo arresto, non era per niente contento del fatto che gli interessi dei Bidognetti, su spinta di Giosuè Fioretto (ex cognato di Cicciotto), stessero intrecciando con quelli di Aldo Picca, che da poco era tornato in libertà. Per quale ragione? “La questione fondamentale”, ha dichiarato D’Angelo, “è che io su quei territori riconoscevo l’autorità criminale solo a Russo, non riconoscevo la figura di Picca”.

E la volontà di Fioretto di legarsi al teverolese per Biscottino era “una mancanza di rispetto nei miei confronti e verso il clan dei Casalesi che in quel momento rappresentavo”. Insomma, i Russo sarebbero stati ancora operativi e D’Angelo non accettava che si preferisse d fare affari con Picca e non con loro. Sull’ipotizzata operatività mafiosa dei Russo, Biscottino ha reso diversi interrogatori, ma sono state rese pubbliche solo poche informazioni (inserendole negli atti che hanno fatto scattare l’ordinanza cautelare che ha colpito proprio Picca), circostanza che verosimilmente dimostra come la Dda voglia approfondire l’argomento.

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