Villa Literno. Giustizia fai da te, a processo il papà di Turco e altri 4

VILLA LITERNO – Se alla violenza subita si risponde con altra violenza, si rischia di innescare una catena di aggressioni infinita. Secondo la Procura di Napoli Nord, è proprio ciò che si stava verificando sull’asse Villa Literno-Casal di Principe a seguito dell’omicidio di Giuseppe Turco. Il 19enne perse la vita il 30 giugno 2023 a causa di una coltellata. A trafiggerlo con una lama fu Anass Saooud, al culmine di una lite avvenuta all’esterno del bar Morza, a Casal di Principe. Per Saooud, ora in carcere, c’è già stata una condanna in primo grado: 17 anni di reclusione. Ma ci sarebbe un altro giovane che, a detta degli inquirenti normanni, pure avrebbe avuto un ruolo nella zuffa sfociata nel sangue ormai oltre un anno fa. Chi è? Il 20enne Raffaele Di Puorto: è indagato a piede libero. Ed è per questo suo presunto coinvolgimento nel delitto che sarebbe stato aggredito dal padre di Giuseppe Turco e da alcuni giovani liternesi (amici della vittima).
Cosa avrebbero fatto? Secondo gli inquirenti, hanno minacciato di morte e pestato Di Puorto. I presunti autori di queste azioni affronteranno ora un processo dinanzi al giudice Fabrizio Forte del Tribunale di Napoli Nord. Chi sono? Raffaele Turco, 48enne, padre di Giuseppe; Vincenzo De Vincenzo, 19enne di Casal di Principe; Matteo Zannettini, 21enne di Villa Literno; e Fabio Loffredo, 20enne, anch’egli liternese. Ad assisterli sono gli avvocati Vincenzina Vatiero, Fabio Ucciero, Vittorio Caterino e Tammaro Diana.
Stando a quanto sostenuto dall’accusa, i quattro, insieme a un minore (la cui posizione è al vaglio del Tribunale competente) e ad almeno altre dieci persone non identificate, nell’agosto dello scorso anno sarebbero riusciti, con un pretesto, a portare Di Puorto in un luogo isolato a Villa Literno. A tendere la presunta trappola sarebbe stato De Vincenzo, amico di Raffaele, ma in contatto con i liternesi, che aveva invitato Di Puorto a uscire. Quella passeggiata organizzata avrebbe avuto come meta finale un’area periferica di Villa Literno, dove Di Puorto, in base alla tesi accusatoria, venne accerchiato da circa 15 persone.
Raffaele Turco, nello specifico, sostiene la Procura, avrebbe afferrato il giovane di Casale per i capelli trascinandolo dietro delle canne di bambù e minacciando di ucciderlo: “Questo lo dobbiamo uccidere… portate il ferro. Gli dobbiamo dare una botta in testa”. Alcuni degli altri presenti, tra cui, secondo gli inquirenti, Zannettini, lo avrebbero colpito con calci e schiaffi. Mentre si allontanava, Raffaele Turco avrebbe intimato a Di Puorto di non riferire nulla all’autorità giudiziaria: “Se vai a fare la denuncia, ti uccidiamo e uccidiamo pure tua mamma”.
A seguito di questo pestaggio, Di Puorto si recò al pronto soccorso di Pineta Grande e successivamente presentò denuncia ai carabinieri, che hanno avviato le indagini. I cinque imputati, da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna definitiva, rispondono di lesioni, minacce e violenza privata.
A seguire la posizione di Di Puorto, che resta indagato a piede libero per concorso nell’omicidio di Giuseppe Turco, è l’avvocato Costantino Puocci.
Se quanto descritto dalla Procura dovesse rivelarsi fondato, ci troveremmo di fronte a una potenziale escalation di violenza che va subito fermata. Una catena di aggressioni che va spezzata. Per farlo, è necessario convincere chi è stato leso a delegare alla giustizia il compito di punire e rieducare (obbiettivo complicato da raggiungere) chi ha sbagliato.

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