S. CIPRIANO D’AVERSA – Estorsione in nome del clan dei Casalesi, condanna per Antonio Cerullo, detto ‘o putecaro. Il verdetto emesso dalla Corte d’appello di Napoli lo scorso gennaio ha ricevuto l’altro ieri l’ok dalla Cassazione, rendendolo irrevocabile.
L’inchiesta che ha trascinato a processo il sanciprianese, difeso dall’avvocato Ferdinando Letizia, inizialmente aveva coinvolto anche Antonio Iovine, detto ‘o ninno, ex boss e ora collaboratore di giustizia, Salvatore Verde, di Cesa, e Bruno Lanza, di Villa di Briano. I tre affrontarono in primo grado, con rito abbreviato, il processo con Cerullo, ma quest’ultimo, a differenza degli altri, venne assolto. L’Appello, invece, ribaltò il verdetto condannandolo a sei anni e otto mesi di reclusione (confermò per Iovine e gli altri la sentenza). Contro quel verdetto era stato presentato ricorso in Cassazione, ma gli ‘ermellini’ lo hanno respinto.
Stando all’inchiesta che ha portato i quattro a processo, ‘o ninno, tra il 2005 e il 2010, costrinse la società che si era aggiudicata il servizio di ristorazione per i degenti e la mensa del personale dipendente a versare 30mila euro al clan: 15mila a Natale e altrettanti a Pasqua. Nel 1996, invece, secondo la Dda, avrebbe estorto 20 milioni di vecchie lire all’azienda che si occupava della pulizia del nosocomio.
Con Verde, Lanza e Cerullo, ha sostenuto la Procura, Iovine spillò 30mila euro all’anno, tra il 2003 e il 2010, a un’altra società che si era aggiudicata il servizio di pulizia e sanificazione delle aree ospedaliere. Adesso che la sentenza per Cerullo è passata in giudicato, le porte del carcere dovrebbero riaprirsi per lui nei prossimi giorni
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