Le donne al potere: “Debora Amato temuta dagli affiliati”

NAPOLI – Gli affari di famiglia nelle mani delle donne. Da questo punto di vista il clan Amato-Pagano ha sempre dimostrato una certa trazione ‘rosa’. Ai vertici dell’organizzazione criminale viene indicata Debora Amato, 36 anni, figlia di Rosa Pagano e del defunto boss Pietro Amato. La donna viene così descritta nell’ordinanza eseguita ieri: “Capo e promotore, con il ruolo di referente libero sul territorio della famiglia Amato-Pagano, deputata a mantenere i rapporti con i capi detenuti e, anche sulla base delle loro indicazioni e direttive, a coordinare e dirigere il complesso delle attività illecite e vigilare sul rispetto delle linee strategiche del clan, anche attraverso lo stretto e costante raccordo con gli altri esponenti della famiglia in posizioni apicali e con gli affiliati storici di rango più elevato”.

Di lei ha parlato il pentito Errico D’Ambrosio. “Era molto temuta da tutti gli affiliati – è scritto nell’ordinanza – ed era colei che assumeva decisioni con il marito. Nel luglio 2023 era andata in Spagna con il marito per un incontro chiarificatore con Antonio Pompilio e per verificare i conti della famiglia. Il collaboratore ripete che Pompilio era andato in Spagna temendo di essere ucciso da Enrico Bocchetti”. Con Debora Amato, in cima alla piramide della cosca, c’era proprio Enrico Bocchetti: “Capo e promotore, con il ruolo di rappresentante della famiglia, di organizzazione e gestione delle attività dì spaccio e delle estorsioni poste in essere sul territorio di Melito, sotto la direzione ed il coordinamento di Vincenzo Nappi, fino al suo omicidio, e, successivamente anche prendendone il posto quale referente per il territorio di Melito (fino al suo arresto del 23 giugno 2023), partecipando, in occasione delle riunioni finalizzate all’adozione delle decisioni di maggior rilevanza, alla formazione delle linee strategiche del clan nonché mantenendo i rapporti con esponenti di altri clan e gruppi criminali”. Ruolo di spicco pure per Emanuele Cicalese, “ritenuto capo e promotore, con il ruolo di rappresentante, insieme a Gennaro Liguori e Bocchetti, della famiglia”, con compiti “di organizzazione e gestione dell’attività di narcotraffico, anche agendo in rappresentanza della famiglia e dei vertici del clan nei rapporti esterni”.

Tornando a Debora Amato, destinataria di ordinanza in carcere (a differenza della sorella Monica, ai domiciliari), la 36enne guidava il clan – secondo l’accusa – con Domenico Romano, suo marito da qualche mese, “deputato alla predisposizione delle linee generali di intervento e attività del clan e con il compito di operare il raccordo tra gli esponenti apicali appartenenti ai nuclei familiari Amato-Pagano e gli affiliati con i compiti di direzione, organizzazione e gestione delle attività illecite sul territorio, anche agendo in rappresentanza della famiglia e dei vertici del clan nei rapporti esterni”. In alto anche Antonio Pompilio, referente a Mugnano e Melito, abile a organizzare le attività di narcotraffico. Coinvolte, con peso inferiore, molte compagne e mogli di affiliati, come Mariarosaria Verde, indagata a piede libero e coniuge di Luigi Tutino, che in un’occasione – come si apprende dall’ordinanza si è lamentata della mesata ricevuta.

Il ‘gruppo Dubai’ e la droga di Imperiale

Si scrive Amato-Pagano, si legge Raffaele Imperiale. E viceversa. Il nome dell’ex broker della droga, oggi collaboratore di giustizia, spunta sempre nelle ordinanze contro il clan di Melito. Nel corso dell’interrogatorio del 26 gennaio, il collaboratore di giustizia Errico D’Ambrosio, affiliati alla cosca ‘ndranghetista dei Molè, ha affermato di aver conosciuto esponenti di un gruppo dedito allo spaccio, i Della Monica, mentre era a Melito presso Antonio Pompilio. I Della Monica (Vincenzo Della Monica, detto Just e Michele Nacca, detto Jocker) sono definiti il “gruppo Dubai”, avendo come fornitori esclusivi Raffaele Imperiale e Bruno Carbone (anche lui passato dalla parte dello Stato, dopo la cattura).

Imperiale, si legge nell’ordinanza, “aveva creato un rapporto stabile con il clan Amato-Pagano e quindi in caso di problemi (recupero crediti, contrasti) i suoi clienti si potevano rivolgere direttamente a Pompilio, detto il cafone. Aveva assistito personalmente quando i predetti si erano rivolti a Pompilio per questioni di lavoro”. Oltre alle attività di narcotraffico, con i viaggi in Spagna per trattare l’acquisto di partite di cocaina boliviana, D’Ambrosio ha tratteggiato uno schema della ripartizione del territorio napoletano da parte degli Amato-Pagano: “A Melito c’era Vincenzo Nappi detto il pittore, alla cui morie era subentrato Enrico Bocchetti, il quale era divenuto reggente al posto di Antonio Pompilio dopo che questi si era allontanato; a Scampia era presente tale Salvatore della 33 che gestiva una piazza di spaccio anche per gli Abbinante; i Sette palazzi erano gestiti da Alessandro De Cicco detto Gettone e poi da Cicciotto detto Careca; lo Chalet Bakù era gestito da Ciccio Raia, fino al suo arresto e poi era passato sotto la stessa gestione dei Sette Palazzi; a Mugnauo le estorsioni erano gestite da Carlo Calzone detto pisano”. Ma perché Pompilio si era allontanato dall’Italia? E’ stato lo stesso D’Ambrosio a raccontarlo: “Si era allontanato dall’Italia, subito dopo l’omicidio di Vincenzo Nappi, forse per timore dal momento che Bocchetti gli contestava una cattiva gestione del clan, che in quel momento era in perdita”.

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