ROMA (Mariano Paolozzi) – Le elezioni si avvicinano. Chi sia ai primi del 2019, che sia in autunno o addirittura in estate (si parla di 22 luglio come ipotetica data) una cosa sembra essere chiara: tra meno di un anno gli italiani torneranno al voto. Il ritorno alle urne e una campagna elettorale da mettere in piedi poco tempo dopo lo tsunami del 4 marzo trovano impreparato un partito su tutti: il Partito Democratico. La ricostruzione, l’analisi e il reinventarsi per il Pd tardano ad arrivare, nonostante il filotto di sconfitte ed una linea politica bocciata dagli elettori più volte. La situazione politica, per come si è messa, non permette un ripensamento generale, un rilancio profondo e forte del Pd e di tutto il centrosinistra, certo, ma costringono i Dem ad sbattare la testa sul tavolo per uscire fuori dal declino in cui sono piombati. Tutto questo, tiene in apprensione l’ex segretario Matteo Renzi che, forse, sbagliando previzione non si aspettava di tornare veramente al voto, fidando su un accordo laast minute tra Lega e 5Stelle o, di ripiego, un governo di tutti ma che durasse almeno due anni. L’ultima carta rimasta al Partito Democratico, ad oggi, sembra essere quella di Paolo Gentiloni.
L’angoscia di Matteo
Tutto in salita. Il presidente Mattarella, verosimilmente, nelle prossime 36 ore scioglierà le riserve e darà un incartico di governo, ercando la fiducia in parlamento. Se la fiducia non dovesse arrivare, si tornerebbe subito al voto. La data potrebbe essere il 22 luglio. La seconda ipotesi, la meno percorribile, è un governo balneare e voto in autunno, col rischio di non riuscire ad approvare la finanziaria in una situazione simile a questa. La terza strada è un governo tregua fino al prossimo dicembre (sempre che nel frattempo non si trovino quadre politiche tra le forze) e al voto poco dopo. Se si dovesse concretizzare il primo scenario (con gli altri due cambierebbe poco in ogni caso) per il Senatore di Rignano sarebbe un disastro: non è passato molto tempo dalla batosta del 4 marzo e questo gli elettori lo sanno. Nel suo partito non gode più del favore praticamente totale delle componenti del Pd. Ma soprattutto, prende sempre più corpo l’idea di ricostruire il centrosinisrtra e il Pd attorno a Paolo Gentiloni.
La carta Gentiloni
Certo sono solo ipotesi. Ma il premier non è odiato. E’ pacato, capace forse di tenere insieme le anime della sinistra. Una sua affermazione, potrebbe significare , in un modo o nell’altro, la fine del renzismo così come lo abbiamo conosciuto e l’inizio di qualcosa di diverso nel Pd. Se andrà bene, saranno i fatti a dirlo. Certo è che Gentiloni rimane comunque in continuità con le politiche renziane, non è un leader carismatico e non buca lo schermo. Però in molti in casa Dem pensano che potrebbe essere il “giusto compromesso” per evitare l’ennesima disfatta, che vorrebbe dire quasi estinzione.