Roma, 8 mag. (LaPresse) – L’Italia rischia un nuovo processo alla Corte Europea per i Diritti dell’uomo. Diciassette migranti, sopravvissuti al naufragio nel Mediterraneo del 6 novembre 2017, hanno presentato ricorso contro il governo italiano alla Cedu. L’accusa all’esecutivo di Roma è di avere una responsabilità legale nelle azioni delle navi italiane e libiche che, in questo caso, hanno portato al respingimento dei migranti in Libia, dove sono stati sottoposti a condizioni umane degradanti. Il ricorso, reso noto oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa, è stato redatto dall’associazione italiana Asgi e dalla Global Legal Action Network, con il supporto di Arci e della Yale Law School’s Lowenstein International Human Rights Clinic. Tra i ricorrenti ci sono anche i genitori di due bambini morti durante il naufragio. “Abbiamo rivelato numerose violazioni dei diritti umani. Per tutti c’è stata la violazione del diritto alla vita, per due di loro la perdita della vita, e del diritto a non subire comportamenti disumani e degradanti”, ha detto l’avvocata Asgi Loredana Leo durante la conferenza stampa. L’accusa sottolinea la responabilità dell’Italia nelle operazioni di coordinamento con la guardia costiera libica e le ritiene una conseguenza dell’accordo Italia-Libia firmato nel febbraio 2017 tra il governo italiano e il governo libico di Accordo Nazionale.
L’episodio è quello del 6 novembre 2017, quando l’Ong Sea Watch sarebbe stata stata ostacolata dalla guardia costiera libica durante un’operazione di salvataggio di 130 migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. L’intervento è stato in parte coordinato a distanza dal centro di coordinamento marittimo della guardia costiera italiana. Almeno 20 migranti sono morti, tra cui due minori. Alla fine del soccoso la guardia costiera Libica, si legge nel ricorso, “ha riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente torturati con l’elettrochoc”. Dei 17 migranti che hanno presentato il ricorso, 15 sono stati portati in Italia e due in Libia nel carcere di Tagiura, dove sono stati torturati. Hanno poi accetato di partecipare ai programmi di rimpatrio volontario e sono stati riportati a Benin City, in Nigeria, loro paese di origine.