Chitarra jazz e archi, magia di corde a Piedimonte Matese con l’orchestra di Volpe e Condorelli

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Orchestra per archi Martucci con Enrico Volpe e Pietro Condorelli
Orchestra per archi Martucci con Enrico Volpe e Pietro Condorelli

Nel segno della contaminazione linguistica e dell’interplay generazionale si è dipanato il concerto “American Songbook e composizioni originali”, evento cardine della 50ª Stagione Concertistica dell’Associazione “Giuseppe Martucci”. L’Auditorium Sveva Sanseverino del Complesso Monumentale San Tommaso d’Aquino ha ospitato, lo scorso 7 marzo, un incontro musicale che ha travalicato i confini stilistici convenzionali, ponendo in relazione dialogica la chitarra jazzistica di Pietro Condorelli con la tavolozza timbrica degli archi orchestrali.

Condorelli, figura di spicco della scena chitarristica jazz italiana e docente presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha portato sul palco quell’approccio pianistico allo strumento che affonda le radici nella lezione dei grandi maestri delle sei corde, da Jim Hall a Joe Pass, passando per l’eleganza armonica di Barney Kessel. La sua esecuzione, caratterizzata da un fraseggio che sa coniugare fluidità bebop e ricercatezza armonica post-boppistica, ha trovato perfetta complementarità nella trama orchestrale dei giovani archi della “Martucci”. Architetto di questa fusione sonora è stato il Maestro Enrico Volpe, non solo direttore dell’Orchestra ma autore degli arrangiamenti orchestrali che hanno dato vita nuova ai classici in programma.

Volpe, testimone vivente della storia cinquantennale dell’Associazione di cui è fondatore, ha saputo costruire un impianto armonico orchestrale che ha esaltato le qualità solistiche di Condorelli, creando un dialogo musicale di rara intensità. I suoi arrangiamenti hanno trasformato le strutture armoniche degli standard jazz in tessiture orchestrali complesse, dimostrando una profonda comprensione sia del linguaggio classico che di quello jazzistico. Sotto la sua direzione, l’ensemble orchestrale formato dalle violiniste Emanuela Bottigliero, Mariafiorenza Concilio, Filomena Pelella, Giulia Sapio, Livia Venerio ed Elisa Orsini, dal violinista Silvio Capuano e dalle violoncelliste Giulia Massa e Gaia Di Giuseppe ha interpretato con straordinaria empatia musicale la conversazione sonora proposta da Condorelli, assimilando nella propria dimensione espressiva le tensioni armoniche tipiche della blue note e la complessità dei chord changes, in un’interplay di rara spontaneità ed eleganza formale.

Il programma, incentrato su evergreen del Great American Songbook e colonne sonore iconiche, ha offerto una rilettura di brani come “Moon River” di Henry Mancini – esempio perfetto di scrittura che coniuga complessità armonica e immediatezza melodica – e “Ev’ry Time We Say Goodbye” di Cole Porter, dove le tensioni cromatiche della scrittura porteriana hanno trovato nuova espressione nell’estensione armonica degli archi. Particolarmente riuscito l’arrangiamento di “Les Feuilles Mortes” (noto anche come “Autumn Leaves”), standard dal quale emergono le radici europee del linguaggio jazzistico, con una struttura armonica che richiama il ciclo delle quarte bachiano riletto attraverso la sensibilità impressionista francese.

Momento di altissima intensità espressiva è stato quello dell’esecuzione in chitarra solo di “Visions”, composizione originale firmata da Condorelli. Qui il chitarrista ha dispiegato tutto il suo arsenale tecnico ed espressivo: dal chord melody style in cui echeggia la lezione di Johnny Smith all’uso raffinato delle estensioni armoniche, fino alle sostituzioni di matrice boppistica in ambito improvvisativo. Una performance che ha mostrato come la chitarra jazz contemporanea possa essere, nelle mani di un musicista del calibro di Condorelli, strumento orchestrale completo.

La vera alchimia della serata si è manifestata nell’equilibrio perfetto tra il contributo creativo di Volpe e l’ispirazione improvvisativa “en temps réel” di Condorelli. Da un lato Volpe, con i suoi arrangiamenti raffinati che hanno valorizzato la sezione archi trasformandola in un organismo reattivo e versatile; dall’altro Condorelli, che ha curato l’arrangiamento della parte solistica e le parti melodico-armoniche della chitarra, oltre a dar vita a momenti improvvisativi di grande intensità espressiva. L’Orchestra “Martucci” ha esteso le armonizzazioni proposte dal chitarrista, creando quella che in gergo jazzistico si definirebbe una “conversazione musicale” a più voci.

Particolarmente efficace l’uso dei pedali armonici degli archi come contrappunto alle frasi melodiche del solista, tecnica che richiama tanto la tradizione impressionista quanto le sonorità modali del jazz coltraniano. Si è trattato di un esperimento musicale che ha saputo fondere la tradizione degli archi classici con l’estetica dell’improvvisazione jazzistica, in un approccio che ricorda le collaborazioni tra orchestra e solisti jazz che hanno fatto la storia della musica del Novecento, da “Focus” di Stan Getz e Eddie Sauter fino ai Third Stream experiments di Gunther Schuller e John Lewis.

In un’epoca in cui l’interdisciplinarietà dei linguaggi musicali è più che mai necessaria, il concerto di Piedimonte Matese rappresenta un esempio virtuoso di come tradizione e innovazione possano dialogare, in un incontro che arricchisce entrambi i mondi. Il tutto nel segno di quella democraticità del linguaggio musicale che è sempre stata prerogativa del jazz: una musica che, come dimostrato dalla collaborazione tra Volpe e Condorelli con l’Orchestra “Martucci”, sa accogliere e trasformare ogni influenza in un discorso coerente e personale.

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