Cosche silenziose ma armate fino ai denti: “Mitra e bombe in mano agli Schiavone”

Il clan dei Casalesi cambia volto, ma non abbandona la violenza

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CASAL DI PRINCIPE – Profilo basso, evitare di fare rumore, rifuggire dalle azioni violente: è questa la strategia criminale adottata nell’ultimo decennio dalle cosche del clan dei Casalesi. Una scelta che la mafia dell’Agro aversano ha ritenuto necessaria per dare la falsa impressione di essere scomparsa (con l’obiettivo di guadagnare tempo per riorganizzarsi e rafforzarsi economicamente).

Seppur il clan da diverso tempo non si sia lanciato in azioni sanguinarie, le indagini della Dda di Napoli, ben sapendo che il sistema mafioso – anche se silente – era ed è tutt’altro che scomparso, hanno accertato come abbia ancora una consistente potenza di fuoco. Diverse, infatti, le armi che, grazie ai blitz di carabinieri e polizia di Stato, sono state rinvenute.

Recentemente, a indicare agli inquirenti della Procura partenopea che la cosca Schiavone, nonostante sia stata debilitata da numerosi arresti, confische e collaborazioni con la giustizia, ha a disposizione un arsenale di rilievo, è stato Vincenzo D’Angelo (nel tondo) alias Biscottino, genero del boss Francesco Bidognetti. Nel dicembre del 2022 ha iniziato a parlare con i magistrati, decidendo di tranciare i suoi legami con la mafia. E nel farlo ha rivelato chi, del gruppo Schiavone, possiede “kalashnikov, mitra, bombe a mano e pistole”.
Tra questi, ha riferito D’Angelo, c’è Nicola Pezzella, alias Palummiello, ritornato in carcere – dopo un breve periodo di libertà – nel 2023 per estorsione e, a inizio aprile, raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa.

Pezzella, stando al narrato di Biscottino, era diventato il riferimento della cosca Schiavone e, con altri soggetti – la cui identità è ancora tenuta coperta dai magistrati – avrebbe detenuto numerose armi.

Abbiamo detto che da anni le cosche del clan dei Casalesi non si lasciano andare ad azioni violente. Se da un lato è per una loro strategia, dall’altro è anche grazie alla bravura degli investigatori: con le loro complesse e tempestive indagini sono intervenuti riuscendo a evitare che gli affiliati più feroci mettessero in piedi i loro disegni criminali.

Il clan dei Casalesi torna a parlare di morte: voleva uccidere…

Proprio Pezzella, ritengono i militari dell’Arma di Aversa coordinati dall’Antimafia partenopea, era pronto a uccidere un imprenditore normanno perché aveva denunciato e fatto arrestare due estorsori (e aveva convinto anche un altro imprenditore a denunciare). Ma Pezzella nel 2023 è stato rispedito in cella bloccando questo suo barbaro piano.

Altro esempio di tempestività dell’indagine è quella riguardante Emanuele Libero Schiavone. Il figlio di Francesco Sandokan Schiavone stava per reagire all’affronto che una gang, probabilmente legata ai Bidognetti, gli aveva fatto nel mese di giugno 2024 esplodendo una raffica di mitra contro il portone e compiendo una stesa nell’area dove avrebbe allestito la sua piazza di spaccio. I carabinieri della Compagnia di Casal di Principe sono intervenuti riuscendo a bloccarlo prima che desse sfogo alla sua vendetta criminale. Una vendetta che, conmolto probabilità, avrebbe rischiato di sfociare nel sangue.

In altre circostanza è stata l’ala più moderata delle varie cosche a impedire che si desse seguito a un ordine di morte. Gianluca Bidognetti, detto Nanà, dal carcere di Terni avrebbe ordinato l’assassinio di un soggetto connesso ai Martinelli per un suo sgarbo fatto a un familiare, ma fu la moglie di D’Angelo, Teresa Bidognetti, a convincere la cosca a non dar seguito all’ordine del fratello Nanà.

Tutto questo dimostra come il clan dei Casalesi, seppur più silenzioso, non sia affatto scomparso. Ha cambiato strategia. Ma l’Antimafia partenopea, ora guidata da Nicola Gratteri, ne è pienamente consapevole ed è evidente che non si sta facendo abbindolare da queste strategie, continuando a braccarlo e a colpirlo sia sul piano militare che economico.

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