Dopo cinque anni di silenzio discografico, i Bisca tornano con “Il Lago Artificiale”, un album che è un pugno nello stomaco di un’epoca che ha smarrito la propria autenticità. Sergio “Serio” Maglietta ed Elio “100gr” Manzo, anime storiche di una delle formazioni più riconoscibili del panorama rock italiano, consegnano al 2025 un manifesto artistico che sfida apertamente la logica della riproduzione seriale che governa l’industria musicale contemporanea.

Con la formazione completata da Claudio “Clark Kent” Marino alla batteria e Marta “Dub Marta” Riccardi al basso, i Bisca dimostrano che dopo quarant’anni di carriera e una discografia che conta oltre venti album, la necessità di dire qualcosa di significativo e significante può ancora generare arte autentica.
La copertina stessa è un programma: il golfo di Napoli prosciugato, dal cui fondale spuntano le gambe di un uomo impegnato in un tuffo. È l’immagine perfetta di una modernità, quella nella quale siamo immersi, che ha tradito le proprie promesse e ha perso la propria identità. Dove “il mare è solo un sogno prosciugato” – come canta Maglietta nella title track – e dove l’uomo si trova a nuotare in “un lago artificiale”.
L’eco di T.S. Eliot e della sua “Waste Land” risuona potente in questa metafora di desolazione contemporanea. Dal punto di vista sonoro, “Il Lago Artificiale” rappresenta un ritorno alle origini espressive che hanno reso i Bisca protagonisti indiscussi della musica indipendente italiana degli anni Ottanta e Novanta. Dal riff “groovy” di “A luna d’inverno” al punk anni Ottanta di “Volo a bassa quota”, mentre la chitarra di Elio Manzo tesse trame ipnotiche che accompagnano la voce e il sax di Maglietta.
I testi caustici di “Siamo in guerra” e “Umani” puntano il dito contro la stupidità e la violenza umana, ma è in “Alieno” che emerge il senso di frustrazione di fronte alle ingiustizie del mondo. “Dario” – omaggio al poeta Dario Jacobelli, paroliere e “membro non ufficiale” dei Bisca scomparso nel 2013 – rivela la sensibilità artistica più profonda di Manzo attraverso uno dei suoi accompagnamenti minimalisti più efficaci.
L’ironia dissacrante, altra faccia del punk, esplode in “Ameri-cani”, dove all’arroganza imperialista statunitense si oppone un sintetico e liberatorio “Chi t’a mmuorto”. L’eco di quella resistenza culturale che ha sempre caratterizzato la migliore tradizione musicale del Sud Italia.
È Sergio Maglietta a rispondere alle nostre domande sul nuovo album.
Parliamo prima di tutto della musica. Cosa rappresenta quest’album nella vostra produzione artistica e rispetto allo scenario rock attuale?
Volendo provare a definire il suono del Lago Artificiale lo direi “Art Soul”, nel duplice significato di ‘suono dell’anima artistica’ e ‘suono dell’anima artificiale’. Una musica viscerale e ipnotica che aspira all’ancestrale. Un nuovo approccio colto e lisergico sull’abisso del nostro tempo perturbato… una possibile alternativa al silenzio. Per raggiungere questo spregiudicato impasto sonoro sono stati essenziali gli innesti di Claudio”Clark Kent” Marino, storico batterista di Bisca degli anni ’80 e ’90, tornato ai tamburi nel gruppo, e “Dub Marta” (Marta Riccardi) al basso col suo inconfondibile suono Dub/Soul. Oggi la musica che viaggia sui canali della “connessione perenne” degli aggeggi digitali, dei cellulari e degli smart questo e quello, si è ridotta ad un gracchiare stridulo e avvilente. Solitario. Coatto, opprimente e fesso. Io personalmente non capisco di cosa parli la musica oggi. Mi sembra di percepire un indifferenziato minestrone pop di parole e suoni e concetti pastorizzati in un copia e incolla fulminato. Un pastone francamente disgustoso in un contesto storico politico che avrebbe bisogno di ben altra musica.
Nei testi affrontate temi politici attuali. Qual è il messaggio di fondo che avete voluto lanciare e a chi è diretto?
“Siamo in guerra, come scimmie fatte, il cervello in pappa e l’anima in liquidazione” (da “Siamo in guerra”, quarto brano del disco, ndr). Credo che dietro questo lavoro ci sia la volontà di riprendere parola dopo troppi anni di “afasia sociale da sedazione mediatica”. Siamo in presenza di un cambio di paradigma. L’occidente a guida Usa è al capolinea e mostra il suo volto più turpe con rigurgiti di guerra e colonialismo. E poi ancora, genocidio. La società dello spettacolo 0 punto 0 non funziona più e oramai non è neanche in grado di produrre cartonati credibili dei suoi fantocci al potere. Penso a Biden e Trump, due geriatrici pupazzi che a stento riescono a stare in piedi e a biascicare scemenze. E questi sono quelli che dovrebbero governare il mondo… pensa al resto. Non che per gli altri leader europei sia diverso, anzi. Per loro si aggiunge all’insipienza la viltà e il servilismo. Ci sarebbe da ridere se la situazione non fosse tragica e pericolosissima. Più tardi lo capiremo più salato sarà il prezzo da pagare.
Qual è il significato della copertina dell’album?
La copertina è una specie di ossessione onirica che mi accompagna da tempo: una Napoli prosciugata, post atomica, col mare ridotto a pozzanghera. E un umano che nonostante tutto ci fa un bel tuffo dentro. Per me il mare è libertà, apertura, vita, bellezza. E il lago artificiale è la sua negazione, del mare aperto intendo. Questo mare prosciugato diventa così metafora di ”una crisi che uccide i suoi figli ed alleva conigli, come se nulla fosse…” (cit. “Come se nulla fosse”) La copertina è però anche un atto di amore per questa città “porosa” che ti segna e talvolta ti rapisce.
Tra i brani c’è anche un tributo a Dario Jacobelli. Quanto è stato importante il contributo di Dario per i Bisca e quanto pesa la sua assenza?
Dario Jacobelli è stato paroliere, “agitatore” e poeta sin dai primi anni dell’avventura Bisca. Personalmente rappresenta anche i miei vent’anni. Avevamo un legame fortissimo. Lo considero uno dei maggiori talenti che abbiamo avuto a Napoli e in Italia nella generazione post seconda guerra mondiale. Un artista scomodo ed inquieto. Le parole erano il suo campo di gioco, la musica il suo orizzonte. Ancora oggi quando canto “Miracoli” (forse il suo capolavoro tra i numerosi pezzi scritti per noi e con noi) mi viene la pelle d’oca. C’è una cosa che pochi sanno; Dario oltre a scrivere benissimo sapeva leggere/interpretare i racconti dei suoi autori preferiti, come pochi. Apriva il libro e ti proiettava in quel mondo. Era una cosa che faceva con gusto e maestria. Interi libri di fantascienza io li ho conosciuti grazie al suo racconto/interpretazione… E mi manca, ci manca.
“Mi piacerebbe se prima di andare via mi raccontassi ancora una storia. Una cosa inventata a gusto tuo, senza ricami. Una cosa così quasi per dire, per fare compagnia, per accompagnare la notte. Come a spegnere la luce, e con lei il buio. Come a spegnere il buio. Il buio appunto” (da “Dario”).
L’album è acquistabile su Amazon in cd e in vinile a questo link.