Arrestato il fratello di Sandokan. Ha gestito per conto del capoclan un’area di 9 ettari intestata a un prestanome

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Antonio Schiavone, Francesco Sandokan Schiavone e Ivanhoe Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Nessuno dovrebbe possederne in quantità eccessiva, ma solo quanto basta per vivere con dignità: lo diceva Platone secoli fa. E con il filosofo greco, almeno su questa valutazione, Francesco Schiavone Sandokan, il capoclan dei Casalesi, non sarebbe mai stato d’accordo. Per quale ragione? Perché il mafioso, investendo i suoi soldi – sporchi di sangue – si è preoccupato di acquistarne ettari su ettari, molti di più di quelli che gli sarebbero serviti per vivere con dignità (dignità che ha abbondantemente perso, quando era un uomo libero, commettendo crimini efferati). Insomma, Sandokan ha sfruttato la sua mafiosità per costruirsi (anche) un impero agricolo. E ora alcuni dei suoi sodali che, secondo la Dda di Napoli, lo hanno aiutato a custodire questo tesoro sono stati arrestati.

Dopo il blitz di luglio che ha fatto scattare le manette per il figlio Ivanhoe e per Pasquale Corvino, imprenditore di Casal di Principe ma da anni trasferitosi a Formia – accusati di aver gestito e venduto 13 ettari situati in località Selvalonga, a Grazzanise, riconducibili proprio al boss ergastolano -, ieri mattina i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta hanno arrestato altre tre persone. Chi sono? Antonio Schiavone, fratello del capoclan, portato in carcere, Francesco Paolella, 72enne di San Cipriano d’Aversa, e Amedeo De Angelis, 57enne di Casal di Principe, entrambi finiti ai domiciliari. Ai tre la Dda della Procura di Napoli, guidata da Nicola Gratteri, contesta i reati di riciclaggio e autoriciclaggio con l’aggravante del metodo mafioso. Le misure cautelari sono state disposte dal giudice Francesca Girardi del Tribunale di Napoli nell’ambito del prosieguo dell’inchiesta che lo scorso luglio aveva acceso i riflettori sull’impero agricolo creato da Sandokan.

Il lavoro dei carabinieri del Comando provinciale di Caserta, diretti dal colonnello Manuel Scarso e dal tenente colonnello Melissa Sipala, ha consentito di accertare – sostiene il Tribunale – la riconducibilità di un altro vasto appezzamento di terreno, circa 9 ettari, sempre al boss, un’area poco distante da quella che è costata la galera a Ivanhoe Schiavone. Sandokan, dice l’accusa, l’aveva acquistata da Armando De Angelis, al quale però era rimasta formalmente intestata la proprietà (per schermarla da eventuali sequestri), titolarità poi passata al figlio Amedeo. Quest’ultimo, ricostruiscono i carabinieri, e Antonio Schiavone, che, secondo la Dda, si occupava di gestire i terreni per conto del fratello ergastolano, dal 2019 al 2020 li aveva concessi in affitto a Francesco Paolella ottenendo 6.400 euro.

Dall’estate del 2020 a quella del 2021 ne diedero una parte in affitto a Francesco Schiavone, figlio di Valter (altro fratello del capoclan, pure lui ergastolano), e dal gennaio 2021 al dicembre 2022 nuovamente tutti a Paolella per 6.400 euro. Dal settembre 2022 al settembre 2023, mentre era ancora in corso il contratto con il sanciprianese, ci fu un ulteriore cambio, con la scelta di affittare tutti quei terreni a Francesco Schiavone. Pochi spicci con le locazioni: il vero business, teso a recuperare l’investimento fatto da Sandokan negli anni Novanta, sarebbe stato concretizzato lo scorso febbraio, quando sempre Antonio Schiavone e Amedeo De Angelis, la presunta testa di legno, avvalendosi
dell’intermediazione di Giovanni Paolella (indagato a piede libero per riciclaggio), sarebbero riusciti a vendere il fondo agricolo con annesso rudere al già citato Francesco Paolella. Un affare da 110mila euro.

Insomma, cambiano i protagonisti, ma la Dda di Napoli ritiene che il meccanismo teso prima a tutelare le proprietà del boss e poi a monetizzarle sia lo stesso già emerso per l’altra area di 13 ettari gestita da Ivanhoe Schiavone e Pasquale Corvino, venduta per oltre 300mila euro alla società riconducibile all’avvocato Mario Natale. Secondo gli inquirenti, la proprietà gestita da Antonio Schiavone, formalmente intestata a De Angelis, avrebbe un valore di circa mezzo milione di euro. Il fratello del capoclan, il presunto prestanome e i Paolella restano comunque da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.

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